In Italia, è noto, abbiamo un basso livello di tolleranza per lo sguardo severo di Bruxelles, per questo proviamo in tutti i modi a muoverci senza dar troppo nell’occhio. Non sempre però ci riesce.
Questo è il dato che emerge guardando al complesso delle procedure d’infrazione incardinate dalle istituzioni europee nei confronti del Bel Paese, come risulta dai dati del Dipartimento Politiche Europee della Presidenza del Consiglio. La procedura d’infrazione è uno degli strumenti disciplinati dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea per sanzionare uno Stato membro qualora abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei Trattati.
Ebbene, su 106 procedure (a vari stadi) in atto, ben 29 sono in tema di tutela ambientale. Si può concludere che la gran parte dei nostri “problemi” con gli organi europei, quasi il 30%, verte sulla tutela del bene ambiente, inteso sia come complesso di fattori (aria; acqua; suolo ecc.), sia come elemento considerato in senso unitario (l’ecosistema) suscettibile di condizionare la vita dei cittadini. In questo senso, infatti, si deve aggiungere che vi sono altre procedure d’infrazione che concernono a vario titolo la salute pubblica (dall’inquinamento dell’aria e del suolo alla pericolosità di alcuni composti chimici contenuti negli elettrodomestici), aspetto per natura connesso alla salubrità dell’ambiente.
Due sono fondamentalmente le ragioni per cui la Comunità europea censura spesso le violazioni e le omissioni del nostro paese in materia di ambiente. Innanzitutto il diritto dell’ambiente è un settore la cui legislazione è “giovane” e il più delle volte attuata in ambito nazionale in recepimento degli strumenti normativi comunitari. Per questa ragione, è più probabile che si verifichino violazioni in un settore in costante sviluppo piuttosto che in ambiti che possono contare su una “tradizione normativa” come, ad esempio, l’amministrazione della giustizia o gli affari esteri.
In secondo luogo, l’Italia ha dimostrato una “abilità” fuori dal comune nel contravvenire alle disposizioni in materia ambientale, soprattutto per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti. Lasciando da parte (ma solo rimandando a un nuovo post) le considerazioni sul sistema criminale che ha reso parte della Campania la tristemente famosa “terra dei fuochi”, è dunque il sistema ordinario di gestione del ciclo dei rifiuti a destare preoccupazione a livello comunitario. Infatti, dei citati 29 procedimenti, 9 riguardano specificamente lo smaltimento dei rifiuti, il più recente dei quali riguarda il trattamento dei rifiuti nel Lazio.
La Commissione ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia, procedura che segue la messa in mora nel caso in cui perduri la violazione, perché nel Lazio circa 855 000 tonnellate annue di rifiuti finiscono in discarica senza il necessario trattamento previsto dalle norme. In alcuni casi i rifiuti, peraltro indifferenziati, sono stati semplicemente frantumati prima dell’interramento, in altri casi è finito in discarica il “tal quale” (i sacchetti di spazzatura così come li avete gettati voi o il vostro vicino).
Eppure una direttiva del 1999 vincola gli Stati a utilizzare la discarica il meno possibile, incentivando il più possibile le attività di recupero in modo da avere impianti di smaltimento potenzialmente meno dannosi e più contenuti quanto a dimensioni. Chissà che reazione hanno avuto i commissari visitando il sito di stoccaggio di Roma, grande circa 240 ettari, o le cd. ecoballe di Giugliano a Napoli, da dieci anni in bilico tra l’incenerimento e il riciclo! In conseguenza ai rilievi comunitari, il Ministro Orlando ha emesso una circolare ribadendo i principi ispiratori della disciplina della direttiva del 1999, dribblati diffusamente da gestori di discariche e amministrazioni locali.
Se cominciassimo d’ora in poi a rispettare i vincoli europei, saremmo già in alto mare: tale gestione ha causato danni economici enormi derivanti dalle prevedibili misure pecuniarie imposte dalla Corte di Giustizia e dall’onerosa bonifica delle discariche non a norma. In caso contrario potremmo continuare a lamentarci dell’eccessive cure dell’Europa, dimostrando noi per primi scarso senso per l’Unione Europea.