Con una sentenza depositata lunedì scorso, la Corte dei Conti ha assolto dall’accusa di aver provocato un danno all’erario tutti coloro che avevano concorso all’acquisto da parte dello Stato del famigerato piccolo crocifisso ligneo implausibilmente attribuito a Michelangelo: una vicenda esemplare a cui ho dedicato un libro, e numerosi articoli.
In attesa di apprendere se la Procura farà appello, non ci si può che rallegrare per la serenità economica che questa decisione offre a Roberto Cecchi (allora direttore generale al Ministero per i Beni Culturali, oggi pensionato), a Cristina Acidini (allora come oggi a capo della Soprintendenza di Firenze) e ai quattro storici dell’arte membri del comitato tecnico scientifico allora in carica, che non dovranno sborsare il totale di 2.400.000 per cui erano citati.
A leggere la sentenza, tuttavia, si scopre che Roberto Cecchi e Cristina Acidini non possono certo esser molto fieri del loro operato. Dalla pagina 36 alla fine (p. 54) il testo sembra più quello di una condanna che di un’assoluzione.
Per la Corte «è difficile sfuggire all’impressione che il crocifisso ligneo venga designato siccome “attribuito” [e non “attribuibile”, come altrove] a Michelangelo, allo scopo di giustificarne l'(oneroso) acquisto, proprio – e soltanto – nel provvedimento di incarico alla vendita». E quindi i giudici riconoscono «che gli studiosi contrari all’attribuzione hanno ragione di prendere decisamente posizione».
E poi un giudizio durissimo: «sull’acquisto dell’opera è mancata del tutto una congrua attività istruttoria, essendosi la dottoressa Acidini, cui tale attività competeva … limitata a richiamare non meglio precisate “attribuzioni a Michelangelo”…perorando la causa dell’acquisto dell’opera, nella lettera del 25 luglio 2007 diretta all’allora ministro on. Francesco Rutelli, attraverso il richiamo ad una sua pubblicazione (ed. Motta, presumibilmente a carattere divulgativo) certamente legittimo, ma – con tutta evidenza – non idoneo a tener luogo di un’istruttoria a questo punto della vicenda pienamente possibile e comunque necessaria, atteso che altri autorevoli studiosi si erano nel frattempo pronunciati per la non attribuibilità del manufatto al Buonarroti». Questo rifiuto di ascoltare altre opinioni, per i giudici «si traduce in un difetto di congruità dell’istruttoria che doveva essere compiuta»: un’istruttoria incredibilmente sostituita dal «pedissequo riferimento all’opinione degli studiosi, e soltanto di essi», che avevano curato la pubblicazione pagata e promossa dall’antiquario venditore.
Ma c’è di peggio: Cecchi e l’Acidini hanno «ignorato le opinioni contrarie dopo la decisione di procedere all’acquisto». Infine: «è vero che il prezzo corrisposto è incongruo, e cioè da un lato ridicolmente basso per un’opera scultorea giovanile di Michelangelo, e dall’altro spropositato se riferito ad un’opera devozionale di bottega legnaiuola».
Ma allora, perché sono stati tutti assolti? Perché, secondo i giudici, l’istruttoria della Procura è stata «insufficiente ed incongrua»: ha dimostrato, sì, che la condotta di Cecchi e Acidini è stata «inadeguata», ma non che sia stata «illecita». E soprattutto l’accusa «non ha quantificato il danno così ravvisato, né indicato al Giudicante un criterio per addivenire alla quantificazione». Il che sfugge alla mia comprensione: un importante perito (il responsabile della scultura per Christie’s) aveva detto alla Corte che il legnetto valeva al massimo 85.000 euro. Lo Stato l’ha pagato 3.250.000: un comune mortale penserebbe che per quantificare il danno erariale basterebbe fare una sottrazione. Ma ovviamente i magistrati contabili avranno fatto i loro conti: e le sentenze come è noto non si possono che applicare.
Oltre ad applicarle, però, sarebbe bene leggerle con attenzione.
Una recentissima, e davvero lunare, circolare del Segretario Generale del Mibac proibisce ai soprintendenti (che non sono dei burocrati, ma dei liberi studiosi) di manifestare il loro pensiero circa le necessarissime riforme del Ministero stesso (alla quale lavora una commissione della quale anche io faccio parte).
Forse sarebbe meglio lasciare i funzionari liberi di pensare e parlare, e mandare semmai a ognuno di loro una copia di questa illuminante sentenza.