Il Pdl bombarda il governo e minaccia la rivolta dei parlamentari: dimissioni di massa dalle Camere se il Senato voterà la decadenza di Silvio Berlusconi. Bluff o non bluff, questa volta Giorgio Napolitano non resta in silenzio. Il presidente della Repubblica interviene in tre tempi e sembra un crescendo che lo porta a dire alla fine che non c’è nessun colpo di Stato, come aveva detto il Cavaliere durante l’assemblea dei parlamentari del Pdl. Nessun colpo di Stato ed è “assurdo evocarlo” mette nero su bianco il capo dello Stato. Chi vuole può esprimere solidarietà a Berlusconi, “ma senza nuocere al Parlamento”. E basta alle “pressioni su di me per sciogliere la Camere”. Poi, come un epitaffio: “Le sentenze si rispettano”.
Ma dopo qualche ora arriva dal Pdl una controreplica altrettanto perentoria, che di fatto apre uno scontro con pochi precedenti tra il Pdl e il Quirinale. Sul caso Berlusconi, scrivono in una nota congiunta i capigruppo Schifani e Brunetta, “la definizione di ‘colpo di Stato’ e di ‘operazione eversiva’ non è ‘inquietante’ (così l’aveva definita stamattina il capo dello Stato, ndr), ma è invece assolutamente realistica e pienamente condivisibile“.
Il presidente Napolitano sembra voler dire una parola finale sul caso Berlusconi, con una nettezza senza precedenti. Prima ancora, in mattinata, nell’annunciare la defezione a un convegno, aveva parlato di “un fatto politico improvviso e istituzionalmente inquietante cui oggi devo dedicare la mia attenzione”. Il “fatto inquietante” era appunto l’assemblea dei parlamentari, durante la quale Berlusconi si è di nuovo presentato come un perseguitato dalla giustizia che non dorme “da 55 giorni”, cioè dalla condanna definitiva a 4 anni per frode fiscale. E prima ancora, dopo la riunione degli eletti berlusconiani, aveva spiegato di dover “valutare bene” cos’era accaduto. Intanto il presidente del Consiglio Enrico Letta, secondo l’agenzia Ansa sarebbe intenzionato a chiedere un’immediata verifica di governo al suo rintro da New York.
LA NOTA DI NAPOLITANO. “L’orientamento assunto ieri sera dall’Assemblea dei gruppi parlamentari del Pdl non è stato formalizzato in un documento conclusivo reso pubblico e portato a conoscenza dei Presidenti delle Camere e del Presidente della Repubblica”, scrive Napolitano in una nota dirmata intorno alle 13. “Ma non posso egualmente che definire inquietante l’annuncio di dimissioni in massa dal Parlamento – ovvero di dimissioni individuali, le sole presentabili – di tutti gli eletti nel PdL. Ciò configurerebbe infatti l’intento, o produrrebbe l’effetto, di colpire alla radice la funzionalità delle Camere“. Non meno inquietante, aggiunge, sarebbe “il proposito di compiere tale gesto al fine di esercitare un’estrema pressione sul Capo dello Stato per il più ravvicinato scioglimento delle Camere“.
Il presidente della Repubblica punta chiaramente a spezzare ogni nesso tra le sorti personali di Silvio Berlusconi e quelle della legislatura faticosamente avviata con le larghe intese. “C’è ancora tempo, e mi auguro se ne faccia buon uso per trovare il modo di esprimere – se è questa la volontà dei parlamentari del PdL – la loro vicinanza politica e umana al Presidente del PdL, senza mettere in causa il pieno svolgimento delle funzioni dei due rami del Parlamento”.
E se pochi giorni fa aveva invitato alla pacificazione tra politica e giustizia non risparmiando pesanti critiche alle toghe, ora il presidente riequilibra il tiro: “Non occorre poi neppure rilevare la gravità e assurdità dell’evocare un ‘colpo di Stato‘ o una ‘operazione eversiva‘ in atto contro il leader del PdL'”. La conclusione è ovvia ma dirompente per le speranze che forse Berlusconi ancora riponeva in una qualche “soluzione politica” ai suoi guai giudiziari: “L’applicazione di una sentenza di condanna definitiva, inflitta secondo le norme del nostro ordinamento giuridico per fatti specifici di violazione della legge, è dato costitutivo di qualsiasi Stato di diritto in Europa, così come lo è la non interferenza del Capo dello Stato o del Primo Ministro in decisioni indipendenti dell’autorità giudiziaria”.
Ieri sera il capo dello Stato non aveva ancora commentato le minacce pidielline, limitandosi a una gelida nota diffusa in serata: “Il presidente della Repubblica si riserva di verificare con maggiore esattezza quali siano state le conclusioni dell’assemblea dei parlamentari del Pdl”. Poi, di prima mattina, l’irritazione del Quirinale ha preso corpo nella lettera inviata agli organizzatori del convegno promosso dalla Fondazione De Gasperi sul rilancio dell’unità politica dell’Europa. Al cui tavolo sedeva tra gli altri il ministro dell’Interno e segretario del Pdl Angelino Alfano, nella veste di presidente della Fondazione Alcide De Gasperi.
LA CONTROREPLICA DI BRUNETTA E SCHIFANI. “Dopo la nota di Napolitano, il Pdl ha accusato il colpo, ma poi ha rilanciato. Prima diffondendo notizie su decine di lettere di dimissioni già inoltrate ai presidenti di Camera e Senato, poi cvon una nota congiunta dei capigruppo Renato Brunetta e Renato Schifani: “L ‘opinione unanime espressa ieri sera dai parlamentari del Popolo della Libertà-Forza Italia – scrivono – è quella dell’esistenza di un’operazione persecutoria da parte di una corrente della magistratura, al fine di escludere definitivamente dalla competizione politica il leader del centrodestra, a cui si aggiunge il voto della Giunta per le elezioni del Senato con l’applicazione retroattiva della legge Severino“. Il voto che ha bocciato la relazione pro Berlusconi del senatore pidiellino Augello, sottolineano i due capigruppo, “calpesta un principio fondamentale dello Stato di diritto, quello della ‘irretroattività delle leggi’, confermato dall’articolo 25 della nostra Costituzione e dall’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. Da qui la conclusione che contraddice il Colle: “La definizione quindi di ‘colpo di Stato’ e di ‘operazione eversivà non è ‘inquietante’, ma è invece assolutamente realistica e pienamente condivisibile”.
I toni sono forti, ma le argomentazioni deboli. Alla condanna di Silvio Berlusconi hanno “contribuito” magistrati di vari orientamenti politici, e altri che non ne hanno mai espresso alcuno, quindi la tesi dell’azione “persecutoria” di una corrente (leggi Magistratura democratica) è smontata dai fatti. Proprio ieri, tra l’altro, una pratica a tutela contro il contenuto del videomessaggio di Berlusconi è stata chiesta al Csm (e ottenuta) da Unicost, la corrente centrista e maggioritaria delle toghe. Quanto alla questione della “retroattività” della legge Severino, al momento della sua entrata in vigore fu il segretario dello stesso partito di Brunetta e Schifani, Angelino Alfano, a chiarire che avrebbe colpito tutti “i condannati” (aggiungendo: “Tanto Berlusconi sarà assolto). Anche il comunicato Brunetta-Schifani, alla fine, fa intravedere un Pdl all’angolo, pur intenzionato a giocarsi il tutto per tutto.
Ma Daniela Santanchè va oltre. Oltre l’inimmaginabile: “Il comunicato del presidente Napolitano, per i toni arroganti e i contenuti espressi, configura una indebita interferenza del Quirinale nelle libere scelte di un partito e di singoli deputati e senatori – afferma – Non accetto lezioni di democrazia da un Presidente, che ancora una volta, si sta dimostrando uomo di parte, arbitro non imparziale e minaccioso nei confronti della libertà politica e di coscienza di una parte significativa del Parlamento”.
Come spesso accade negli ultimi tempi, Fabrizio Cicchitto si distingue per toni un po’ più morbidi rispetto ai colleghi “falchi”. La parola “golpe” in effetti evoca “assassinii e carri armati per strada”, concede, quindi meglio parlare di una “gravissima manipolazione della democrazia realizzata attraverso gli avvisi di garanzia, le custodie cautelari, le violazioni del segreto istruttorio, le stesse sentenze le quali non possono più essere valutate con i canoni normali se per esempio, come nel caso della legge Severino, essa è patentemente incostituzionale, perché retroattiva”.
Si ripropone però la frattura con l’ala “ministeriale” del Pdl: “Non condivido gli attacchi, anche violenti, di alcuni miei colleghi di partito al presidente Napolitano”, ha detto a Parigi il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi sottolineando di avere “un profondo rispetto non solo per la carica, ma anche per l’uomo che oggi rappresenta la presidenza della Repubblica e del quale a febbraio abbiamo chiesto tutti a grande maggioranza la riconferma”. Lupi ha ricordato “i tanti messaggi in cui il presidente ha richiamato l’attenzione sui problemi della giustizia”.
IL PDL CONTRO IL COLLE. Già il breve accenno di Napolitano nella lettera alla Fondazione De Gasperi ha messo a nudo lo scontro con il Pdl. Che immediatamente ha reagito. Prima di parlare, attacca Sandro Bondi, “il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto a mio parere ascoltare personalmente i presidenti dei nostri gruppi parlamentari per avere piena contezza delle nostre decisioni”. Così, “prima di rendere pubbliche dichiarazioni, che suonano inevitabilmente come giudizi di carattere politico”, avrebbe potuto “comprendere e riconoscere l’alto valore istituzionale, politico e etico del nostro gesto”. Per Daniele Capezzone, l’unica cosa “inquietante” è “il tentativo di colpire il diritto a una piena rappresentanza politica e istituzionale di milioni di elettori, e cioè di quella grande parte del Paese che ha votato per Silvio Berlusconi”. Non manca l’intervento di Daniela Santanchè: “Il presidente della Repubblica dovrebbe sì inquietarsi, ma per l’apertura da parte dell’Europa del procedimento d’infrazione sulla irresponsabilità dei giudici italiani” (in realtà il richiamo dell’Europa riguarda la responsabilità dello Stato negli errori giudiziari).
Dopo la nota di Napolitano, i toni si sono momentaneamente abbassati, lasciando però spazio alle trovate più fantasiose. La palma spetta al senatore Lucio Malan, secondo il quale “se non sono sotto forma di un messaggio alle Camere, le dichiarazioni di Napolitano possono essere considerate solo un’opinione personale”. Napolitano non ha mai mandato messaggi alle Camere, potere previsto dagli articoli 74 e 87 della Costituzione. Secondo il ragionamento di Malan, dunque, in oltre sette anni di (doppio) mandato si è limitato a chiacchierare amabilmente sulla situazione politica italiana. Per non parlare di Brunetta, che prima vergare il comunicato congiunto con Schifani spiegava al Tg1 che l’annuncio delle dimissioni è stata “una grandissima dimostrazione di amore per la democrazia parlamentare”.
DIMISSIONI: I COLONNELLI FRENANO, MA ARRIVANO LE LETTERE. Ma davvero i 97 deputati e 91 senatori del Pdl sono pronti a mollare la poltrona come un sol uomo per seguire la sorte del leader decaduto? “Le dimissioni si danno e non si annunciano”, afferma significativamente il ministro per le riforme Gaetano Quagliariello. “Ieri comunque non abbiamo votato alcuna dimissione”. I capigruppo Brunetta e Schifani, che sarebbero i depositari delle decisioni dei parlamentari, hanno scelto il silenzio e fino al questo momento hanno evitato di rispondere alle domande sul tema. E l’ex presidente dei senatori pidiellini Maurizio Gasparri chiarisce: “Ieri sera non c’è stato un voto sulle dimissioni dei parlamentari, ma si è verificato un fatto politico, una condivisione”.
Intanto però agli uffici del gruppo Pdl di Palazzo Madama stanno già cominciando ad arrivare le prime lettere di dimissioni. Ottantasette senatori sui 91 del Pdl hanno consegnato le dimissioni nelle mani di Schifani, “tutte spontanee”. Il fac simile di una lettera di dimissioni fa peraltro esplicito riferimento ai “dubbi di costituzionalità” sulla legge Severino (guarda l’originale firmato da Brunetta).
LA MINACCIA ALLA STABILITA’. Oltre ai toni usati da Berlusconi contro le toghe, definite “eversive” pochi giorni dopo l‘esortazione dello stesso Napolitano a disinnescare il conflitto politica-magistratura, al Quirinale non va giù che la minaccia di Aventino sia arrivata proprio mentre il presidente del Consiglio Enrico Letta si trovava a New York per decantare alla comunità finanziaria le opportunità di investimento in Italia, garantite anche dalla “stabilità” del Paese. Che un pregiudicato possa semisvuotare il parlamento pur di scampare alla sua condanna non deve apparire affatto rassicurante. Certo, come tutti Napolitano mette in conto che possa trattarsi di un bluff, di un colpo di coda prima dell’inevitabile uscita di scena (almeno come parlamentare) di Berlusconi, e prima che il duo Letta-Napolitano blindi gli alleati riottosi in un documento vincolante salva-larghe intese . Ma l’impatto negativo sull’immagine del paese resta devastante.
Ogni margine di trattativa sembra a quetso punto scomparso. Dal 15 ottobre Silvio Berlusconi dovrà iniziare a scontare la sua pena, e i tempi per la decadenza – o in base la legge Severino o per l’interdizioni dai pubblici uffici – non possono essere dilatati in eterno. E’ veramente arduo, specie dopo lo scontro di oggi, che in questo lasso di tempo il presidente della Repubblica possa intervenire con un provvedimento di grazia o di commutazione della pena, o che possa pressare il Pd per una “soluzione politica” che passi da un voto anti-decadenza in Senato.