Il presidente della Repubblica ricorda l'economista Spaventa: "Alle elezioni sfidò Berlusconi per un confronto antidemagogico". Berlusconiani scatenati: "Napolitano capisca che la maggioranza non c'è più". Epifani: "Stanno dando un colpo alla schiena dell'Italia che lavora". Ma il Pdl non è unito come sembra: Giovanardi non firma la lettera per lasciare il seggio
Sembrava un bluff, l’ultimo tentativo di stupire. L’ennesimo ricatto. Un modo alternativo per vincere la propria partita politica, mettere spalle al muro il Pd e tenere per il bavero il Quirinale per poi lasciarlo andare un secondo dopo aver ottenuto il bottino. Invece altro che bluff. La mossa di Silvio Berlusconi e del Pdl (le dimissioni di massa dal Parlamento) somiglia sempre di più a uno scontro finale, alla resa dei conti, all’ultimo assalto alla diligenza. L’umore oscillante del Cavaliere raccontato negli ultimi 2 mesi – cioè a partire dalla sentenza di condanna per frode fiscale a 4 anni – sembra stabilizzarsi sull’incazzatura. Nella lotta interna a chi riesce a farsi più ascoltare di più dal leader del Popolo delle Libertà stanno insomma vincendo gli irriducibili – Bondi, Verdini, Santanchè – e tutti i tentativi di Gianni Letta sembrano non fare più effetto. Bondi rilancia: “In queste condizioni prolungare l’agonia di questo governo e di questa legislatura non giova a nessuno tantomeno all’Italia. Questo Napolitano lo sa bene. Se ancora sopravvivesse un residuo di serietà in questo sventurato Paese si prenderebbe atto senza perdere nemmeno un secondo della crisi di un governo e di una maggioranza che non esistono più da tempo”. Guglielmo Epifani ribatte che in realtà a tradire è stato il Pdl: è un “colpo alla schiena per l’Italia che lavora, che cerca di uscire dalla crisi – dice – Si sta scherzando col fuoco. Nell’idea di pacificazione del centrodestra c’era, in luce, l’esito di questi giorni. Perché in quell’idea c’era la volontà di condizionare il quadro politico e le istituzioni”. Pd e Pdl sono saliti definitivamente sul ring. E per Beppe Grillo in ogni caso lo sconfitto è Napolitano: “Lui ha perso la partita,ma si ostina a negarlo come chi avendo sempre vinto (o almeno pareggiato) non riesce a darsi pace per la sconfitta. Si alzi dal tavolo di gioco, e prima di uscire, spenga le luci del Quirinale”.
Ma proprio Napolitano parte in contropiede, si direbbe. Parla a un convegno sull’economista (e suo amico) Luigi Spaventa e prepara l’arco e le frecce: “Quando sfidò Berlusconi nel suo collegio nel 1994 lo fece per gusto del confronto antidemagogico”.
Napolitano: “Spaventa sfidò Berlusconi per un confronto antidemagogico”
Nel suo discorso alla Bocconi – dov’era organizzato il convegno su Spaventa – Napolitano ha incassato l’applauso più fragoroso quando ha fatto riferimento al rapporto tra maggioranza e opposizione che produce oggi “smarrimento di ogni nozione di confronto civile, e di ogni costume di rispetto istituzionale e personale”. Riferendosi agli anni dell’impegno politico di Spaventa Napolitano si interroga: “Cosa è rimasto di quel modo di vivere la politica e di convivere in una istituzione e anche del modo in cui, di conseguenza, si vedeva dall’esterno il mondo della politica?”. E dopo aver ammonito che legislature corte e voto anticipato rappresentano una “prassi molto italiana”, si è concesso uno sfogo: “Quanto più tu abbia – ha detto – la ventura di inoltrarti in età avanzata nel tuo percorso di vita tanto più avverti il vuoto di quelle che sono state presenze assai care, venute via via meno nel corso degli anni. E finisci per avere il senso del dissolversi del tuo mondo come sfera di affetti radicati e di comunanze essenziali. E quel che allora può soccorrerti – ha continuato – è il ricordo che ridiventa vita come qui oggi, è il sentire vicine figure, storie, pensieri che ancora possono accompagnarti. Per me la figura, come poche altre, di Luigi Spaventa“.
Napolitano ricorda anche che l’economista tentò nel 1994 “una missione quasi impossibile” candidandosi alla Camera nello stesso collegio in cui correva proprio Silvio Berlusconi. “E lo fece essendo mosso non dall’intento di tornare in Parlamento ma dal gusto della sfida, del confronto antidemagogico sui problemi dinanzi ai cittadini”. All’uscita dall’università milanese, il presidente della Repubblica ha risposto ai cronisti. “Mi ponete delle domande – ha detto in merito alla possibilità che i partiti si dimostrino responsabili- a cui non sono in grado di rispondere, né da Roma né tanto meno da qui. Lasciatemi un po’ di tempo – ha concluso – vediamo come reagiscono alle cose dette e alle cose fatte”. Alla domanda se mantenga il suo ottimismo, poi, ha risposto: ”L’ottimismo come non pessimismo è giusto – ha detto il Presidente della Repubblica – come ingenuità no”. E a chi gli chiede se siamo “sotto ricatto del Pdl” ha detto: “Ma lei crede che io possa rispondere ad una domanda del genere, adesso?”.
Letta sale al Quirinale. “Se cade il governo, si paga l’Imu”
Il presidente del Consiglio Letta incontrerà Napolitano al Quirinale per capire cosa fare. Di certo l’intenzione di entrambi è di coinvolgere il Parlamento: “Tutti si devono prendere la responsabilità di quello che fanno davanti agli italiani” aveva già detto. Di certo il capo del governo punterà sul fatto che il crollo dell’esecutivo porterà al ritorno dell’Imu e all’aumento dell’Iva, come minimo. E di tutto questo – di uno scontrino da 9 miliardi che verrà presentato agli italiani – la responsabilità a questo punto sarà paradossalmente proprio del Pdl. Potrebbe essere questa carta, probabilmente, l’unica che potrebbe raffreddare gli spiriti dei berlusconiani che in queste ore, al contrario, sembrano animati da una furia cieca. E’ stato fissato invece alle 19,30 il consiglio dei ministri: all’ordine del giorno il rinvio dell’Iva, la correzione del rapporto deficit/Pil, ma anche la questione Telecom. Inutile aggiungere che ogni piano di lavoro sarà superato da una richiesta di chiarimenti da parte del presidente del Consiglio ai ministri del Pdl presenti nell’esecutivo.
Pdl: mujaheddin contro “recalcitranti”
Lo smarrimento di un confronto civile risuona (ma forse no) nelle orecchie degli esponenti del Pdl, dove sembrano ormai messi al bando una volta per tutte i toni diplomatici. Tanto che ieri i “Renati” – i capigruppo Schifani e Brunetta – hanno avuto carta bianca per rispondere sfrontati al Quirinale che aveva definito “assurdo” parlare di colpo di Stato. Alla bisogna il Pdl sarà sostenuto anche in questa puntata dalla Lega Nord: Maroni ha già detto che anche i parlamentari del Carroccio potrebbero imitare quelli dei berlusconiani. Certo, resta da capire come si comporteranno i governisti “recalcitranti”, come i ministri Maurizio Lupi (che ieri ha difeso apertamente il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano) e Gaetano Quagliariello (che ha fatto finta di non capire: “Le dimissioni si danno, non si annunciano). E quanto peserà il loro esempio su altri parlamentari berlusconiani (alcuni dei quali peraltro terrorizzati all’idea di lasciare il seggio)? Qui si inserisce, per esempio, la dichiarazione d’intenti dell’ex Pdl ora montiano Mario Mauro: “Se qualcuno cercherà di far saltare il governo – dichiara al Corriere della Sera il ministro della Difesa – io farò di tutto per trovare ancora una maggioranza, con quelle persone libere e consapevoli che la nostra Costituzione non prevede vincolo di mandato”.
Giovanardi non firma le dimissioni
L’altra domanda è: quante crepe lascerà dentro al Pdl questo strappo sul governo delle larghe intese? Difficile capire se si tratti di un “dissidente”. Ma per esempio Carlo Giovanardi non firmerà la lettera di dimissioni da senatore. Ribadisce che per lui votare la decadenza di Berlusconi è una “mascalzonata”, ma le dimissioni di massa secondo lui non sono la modalità giusta. Può fare breccia? Sarebbero tre i senatori del Pdl che al momento non avrebbero ancora firmato la lettera di dimissioni. Oltre a Giovanardi e al ministro Quagliariello, mancherebbe la firma di un altro la cui firma però il gruppo confida di ricevere a breve.
B. accerchiato: “Ho avuto fin troppo senso dello Stato”
Questa nuova improvvisa accelerazione sulla strada di una crisi di governo – ipotesi mai così concreta come in queste ore – da una parte segnala il fatto che Berlusconi si sente accerchiato: sente sempre di più il fiato sul collo dell’interdizione imminente da una parte e dall’altra dalla Giunta per le elezioni che al più tardi il 7 ottobre voterà per il sì alla sua decadenza da senatore e il rinvio della discussione per il voto finale nell’Aula di Palazzo Madama. E dall’altra suggerisce che l’ex presidente del Consiglio si è stancato di di fare il “responsabile”, di attendere un gesto da parte del presidente della Repubblica per risolvere la sua situazione. D’altronde, secondo le ricostruzioni dei giornali, il capo del Pdl sembra essersi stufato di restare imprigionato nella figura del leader morigerato: “Ho avuto fin troppo senso dello Stato” avrebbe detto secondo alcuni retroscena. La furia distruttrice si abbatte su chiunque non stia dalla sua parte. Chi non sta con me è contro di me: motto da fine regime, come insegna la storia. All’improvviso anche Napolitano – votato in massa dal Pdl, perché “garante della democrazia”, eccetera eccetera – è diventato il “mandante” dell’esclusione del Cavaliere dalla scena politica, il “regista della congiura”, “il vero premier” (lo dice Osvaldo Napoli), un presidente “di parte” (la Santanchè dice “imparziale” come se avesse un’accezione negativa, ma in giornata forse qualcuno le spiegherà la differenza). Napolitano: il presidente “colpevole” di non aver mosso un dito quando la Corte costituzionale ha respinto o modificato o svuotato gli effetti del lodo Alfano e del ricorso sul legittimo impedimento, non ha dato alcun segnale (positivo) sulla concessione di un provvedimento di grazia e di margini di manovra per l’ormai trita questione dell’ “agibilità politica”.
Strategia: lo scontro finale
La strategia di Berlusconi dunque sembra diventata quella del giapponese che resiste finché ha energie. E dunque: far saltare tutto per rinviare il più possibile una pronuncia del Senato sulla sua decadenza. Se cadesse il governo questo Parlamento (e Berlusconi con lui) vivrebbe fino all’insediamento del nuovo. E se davvero i parlamentari Pdl andassero fino in fondo il voto delle Camere sulle loro richieste di lasciare le Camere occuperebbero i calendari per mesi. Dunque, ogni giorno guadagnato è ricoperto d’oro per Berlusconi: la paura più grande è di finire in galera. Come si dice da settimane negli ambienti del Pdl “qualche Procura pronta ad arrestarlo si trova sempre”. E allora ecco: rovesciare il tavolo, buttare giù tutto, testate sul naso a chiunque si pari davanti. La linea – certo, per abitudine sottoposta a repentini e contraddittori cambi di rotta – è quella di andare fino in fondo. Chiedono il voto di fiducia? Il Pdl questa volta non sarà della partita. Fino in fondo: fino alle elezioni anticipate. Fino a vincere nelle urne, tornare a prendersi una maggioranza e almanaccare per manomettere la legge Severino, contestarne finalmente la retroattività, fare qualche legge per salvarsi. In questo caso non si può certo dire che possa intervenire un brivido d’emozione o un tremore alle mani dovuti alla prima volta.
Si parla addirittura – di nuovo – di elezioni. C’è chi dice che bastano meno di 2 mesi, che si può andare a votare il 24 novembre. Ma Napolitano, come minimo, vorrà una legge di stabilità fatta come Dio comanda e una nuova legge elettorale, perché tornare alle urne con il Porcellum somiglierebbe, quello sì, a una barzelletta. Non solo: il capo dello Stato – e lo sanno anche i sassi – prima di sciogliere le Camere, ci penserà un centinaio di volte.
Grillo: “E’ un poker con il morto”. E il morto è la democrazia
Beppe Grillo sul suo blog dipinge l’attuale crisi politica come un “poker con il morto”, dove il morto “è la democrazia”. Il leader del Movimento 5 Stelle ricostruisce gli ultimi mesi: “Come nei romanzi gialli per capire quello che sta succedendo ora bisogna fare un passo indietro – afferma – Tornare a quella notte né buia, né tempestosa di primavera quando si riunirono tre persone per decidere le sorti della legislatura. Ognuno di loro aveva qualcosa da guadagnare dalla partita a poker. Napolitano la rielezione e, forse, la certezza della distruzione dei nastri delle sue conversazioni con Mancino, Bersani la presidenza del Consiglio per il pdmenoelle, Berlusconi la certezza dell’impunità”. Quanto alla “impunità” del Cavaliere, Grillo espone la sua teoria, puntando ancora una volta il dito contro il capo dello Stato: “A Napolitano si può imputare tutto, ma non l’ingenuità. E’ altamente probabile che a Berlusconi siano state date delle garanzie che in seguito non sono state rispettate, o più probabilmente non si è riusciti a far rispettare. In altri termini l’assicurazione della prescrizione per scadenza dei termini del processo che lo ha condannato in via definitiva per truffa fiscale. Altrimenti che senso aveva fare un governo intestato alla presidenza della Repubblica, che mai si è esposta come in questo caso? Per vederlo cadere rovinosamente per un processo e una condanna altamente probabile pochi mesi dopo?”.
Appelli alla stabilità da Ue e Cei: “Ognuno si prenda le sue responsabilità”
Ma un appello contro il voto anticipato e a favore della stabilità arriva da una parte dall’Unione Europea e dall’altra dai vescovi italiani. “Ognuno deve assumersi le sue responsabilità nella politica italiana – ha detto il portavoce della Commissione europea, Olivier Bailly – Abbiamo fiducia nelle forze democratiche italiane per assicurare la stabilità politica del Paese”. La stabilità politica, ha aggiunto Bailly, “è elemento altrettanto importante per la sua stabilità economica e finanziaria”. Bailly in precedenza aveva affermato che la Commissione “non ha commenti specifici sugli incidenti della vita politica italiana” ma ha ricordato che pochi giorni fa era stato lo stesso vicepresidente Rehn ad avere espresso “fiducia nell’impegno delle forze politiche” per la stabilità.
E monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei, aggiunge: “Lavorare per soluzioni che garantiscano la stabilità per la coesione sociale in un momento di perdurante crisi”. “Posso solo ribadire – ha aggiunto Crociata a margine di una conferenza stampa – ciò che il cardinale presidente e il Consiglio permanente hanno condiviso e cioè la considerazione che il Paese proprio per la situazione che sta vivendo ha bisogno di stabilità. Sta alle forze politiche trovare le formule e i modi ma noi avvertiamo che il Paese ha bisogno di stabilità per affrontare i gravi problemi che la gente vive sulla propria pelle”. Il cardinale Angelo Bagnasco aveva sottolineato che eventuali “atti irresponsabili” da qualsiasi parte provengano saranno “giudicati dalla storia”.