Oggi non ricordo nemmeno che faccia abbia, lui, o cosa sia stato per me, in quegli anni, terribili, intendo Massimo delle case col tetto di lamiera. Quelli erano gli anni della noia, del nulla, li temo ancora. Le strade erano nere, irregolari, finivano di solito su terreni incolti, ingannavano vecchie mulattiere e non seguivano alcuna logica, alcun sentiero. La gente delle case di lamiera era diffidente, scura in viso, propensa alla lite; le donne urlavano dai balconi, inveendo l’un con l’altra per ragioni minime, piccole banalità.
I ragazzi avevano l’aria sparuta, neanche fossero stati trascinati apposta in quel mondezzaio, sorpresi a viverci, ingrati come chi sa di dovervi recuperare il maltolto. I ragazzi si bucavano perché c’erano le case gialle e i pusher stavano tutti lì. Qualcuno ne veniva fuori, qualcuno evitava di finirci con la roba, chi ci riusciva lavorava da ambulante al mercato di norma, o in campagna con il padre, sempre troppo vecchio. In periferia si era sempre troppo vecchi per qualcosa. Chi ci riusciva diventava un ricetta da grande.
Massimo piaceva a tutte. A pensarci era soltanto uno triste, chino sulla vespa. Avevo aspettative elevate, gli uomini che incontravo erano ragazzi, e io pretendevo che fossero uomini. Dovevano somigliare ai personaggi dei libri che leggevo, cercai Renaud, il suo amore scandaloso, negli anni in cui avrei incontrato solo muliebri incerti sul da farsi, ma erano adolescenti. Cercavo l’anarchico Renaud che raccontava la Rochefort in un pocket Longanesi del 1962, Il riposo del guerriero, era di mio padre. “Il romanzo che ha fatto arrossire la signora De Gaulle” campeggiava sulla fascetta di copertina.
La sua diseducazione mi aveva sedotto, benché Renaud forse non era nemmeno bello, era imperfetto. Quando in certi film americani, o in certe sceneggiature un po’ paracule, sentivo frasi del tipo i libri sono pericolosi, rabbrividivo. Era facile, ero giovane, l’enfasi studiata in quell’epitaffio era vera e esaustiva. Massimo doveva riassumere i personaggi di tutti i romanzi letti da ragazzina, sottratti alla libreria di mio padre, alla sua attenzione.
I libri sono pericolosi. Quando Massimo dimenticava di salutarmi, gli urlavo con l’enfasi dell’epitaffio: i libri sono pericolosi! La motoretta faceva un rumore orribile. E ancora urlavo citando a memoria la Rochefort: “L’edonismo è la più immonda delle dottrine, meriti che ti si sputi in faccia”. Massimo non si girava nemmeno, idiota.
(continua)