Per tutto il giorno si cerca il varco che consenta di uscire dall’angolo in cui ci si è infilati con le dimissioni di massa dei parlamentari. Ma la dura risposta di Letta ha mandato su tutte le furie il Cavaliere. Quindi prevalgono Santanché, Verdini e Bondi. E le colombe rimangono spiazzate
Caos nel Pdl dopo lo strappo di Silvio Berlusconi. A sparigliare le carte è la nota con cui il Cavaliere invita i suoi ministri a lasciare il governo Letta. Una doccia fredda che gela le colombe. Sono i falchi oggi a vincere: passa la linea di Denis Verdini, Daniela Santanché e Sandro Bondi, riuniti ad Arcore in un gabinetto di guerra con il Cavaliere. Ma adesso si rischia la spaccatura. Del partito e, insieme, dei gruppi parlamentari. L’escalation si consuma nel pomeriggio. Per tutto il giorno la diplomazia del Pdl cerca il varco strettissimo che consenta di uscire dall’angolo in cui ci si è infilati con le dimissioni di massa dei parlamentari. Ma la dura risposta di Enrico Letta ha mandato su tutte le furie Berlusconi. Ed è sul suo umore nero che hanno la meglio i falchi.
Tra villa San Martino e Roma c’è un lungo braccio di ferro con i ministri ‘colombe’ per indurli a dimettersi. E alla fine arriva la nota, unilaterale: il leader del Pdl, che ha al suo fianco oltre agli avvocati i soli Verdini, Santanchè e Bondi, auspica il passo indietro. Dopo mesi di travaglio, la linea dura prevale. Da qui in poi, si punta alle urne. Con una campagna elettorale in cui battere sul tasto della persecuzione giudiziaria e ribaltare su Letta l’accusa di aver deciso l’aumento dell’Iva.
Angelino Alfano avrebbe dovuto macchiarsi del “parricidio” del suo padre politico e invece in pochi minuti diventa la vittima, commentano le colombe del Pdl. Il passo indietro viene compiuto e testimonia anche – sottolineano – che la linea della mediazione tenuta fin qui dai ministri non era dettata da attaccamento alla ‘seggiola’. “Rassegniamo le nostre dimissioni anche al fine di consentire un più schietto confronto e una più chiara assunzione di responsabilità”, scrivono Alfano, De Girolamo, Lorenzin, Lupi e Quagliariello in una nota congiunta dettata dalla casa di Alfano, dove si riuniscono insieme a Cicchitto e Brunetta (manca solo Lupi). C’è, sottile, la speranza di avere ancora spazio di manovra, voce in capitolo.
Ma nel partito i nervi sono tesissimi. Parte un vortice di telefonate. Mai era accaduto che una decisione del genere venisse assunta unilateralmente, senza neanche consultare i dirigenti. Fabrizio Cicchitto esce allo scoperto e lo dice chiaro e tondo: serviva “una discussione approfondita”, la decisione doveva “essere presa dall’ufficio di presidenza del Pdl e dai gruppi parlamentari”, che sono stati invece esclusi. Ora il timore più grosso è una dolorosa spaccatura in Parlamento. Anche i sottosegretari più recalcitranti, come Giuseppe Castiglione e Alberto Giorgetti, si dimettono dal governo, con la delegazione Pdl. Ma criticano il metodo, tanto che Giorgetti chiede un chiarimento ad Alfano e intanto ritira la lettera di dimissioni da parlamentare.
E adesso si guarda con molta apprensione al Senato. Perché di fronte alla possibilità di un governo di scopo, l’ipotesi che un gruppo non così piccolo di ‘responsabili’ si stacchi e voti la fiducia, non appare peregrina. Le carte sono ancora coperte, ma i mal di pancia sono tanti e i segnali iniziano a emergere, non solo tra chi era già indiziato, come i senatori siciliani. E già i falchi guardano con sospetto colombe come Quagliariello. In prospettiva, potrebbe iniziare oggi la sfaldatura della rinata Forza Italia. Il corteggiamento di centristi, montiani, montezemoliani è costante. La seduzione di un nuovo centrodestra moderato si fa ogni giorno più forte. In questa crisi di governo il Pdl ha un problema in più: la sua stessa sopravvivenza.