Introduco la questione per alcune valutazioni di natura progettuale (oltre che in qualità di fruitore assiduo di tali strutture) che in nessun modo intendono discutere le “magnifiche sorti e progressive” dello sviluppo e modernizzazione ferroviaria, la buona qualità tecnico-ingegneristica complessiva dell’opera realizzata in condizioni e contesto non agevoli, né l’oggettivo vantaggio che le nuove stazioni apportano al superamento del nodo bolognese, da sempre problematico per la mobilità su ferro nel paese.
Inaugurata a giugno di quest’anno, è stata progettata da Italferr (Gruppo FS Italiane), che ha effettuato anche la direzione dei lavori: regia Grandi Stazioni.
Quattro piani sottoterra (qui la mappa), possenti strutture cementizie a reggere il tutto – anche se in verità i primi giorni ci ha un po’ piovuto dentro… – ma perché le scale mobili sono state messe così?
Prendo le scale al livello – 4; salgo e mi aspetto vicino un’altra scala per il piano sopra. No, bisogna fare una piccola camminata (ma va bene abbiamo bisogno di far moto, siamo troppo sedentari) e allora trovo le altre per il – 3, dove al mio arrivo ci sarà sicuramente la successiva rampa. E invece no, altra camminata alla ricerca del prossimo tratto. Confesso che frequento da tempo turbato il livello– 2 dove dispongo di due possibilità, che continuano per me ad essere misteriose: scala mobile lunga e scala mobile corta. Con la seconda ho la possibilità di arrivare ai binari, o almeno credo; con la prima esco in strada, o almeno credo.
Se, come è lecito supporre, le scale sono così collocate in modo non propriamente funzionale né logico per motivi costruttivi-strutturali o altro (in caso contrario sarebbe grave) ed è piuttosto evidente, di certo sarà prevista una corretta e chiara segnaletica atta ad indicare dove è possibile scovare la scala mobile successiva o quant’altro; di wayfinding come si dice in termini tecnici. So che la questione così posta appare tendenziosa e presuppone una risposta non positiva. Infatti i cartelli aiutano poco a capire dove andare; le frecce riportate sono in molti casi manualmente “corrette” da viaggiatori volenterosi che indicano la direzione giusta, per aggirare piloni, vetrate e altro.
Giunto a questo punto mi rendo conto di giocare la parte del conservatore contrario al progresso e anche un po’ del tonto con problemi di orientamento, cose che sono entrambe probabili. Ma sembra il ragionamento di quelli che di fronte alla mancata comprensione e alla difficoltà di far funzionare un piccolo aggeggio elettronico, ad esempio un telecomando, ti consigliano, con un pizzico di compassione e condiscendenza, di leggere il manuale delle istruzioni …di diverse centinaia di pagine.
Al di là di un po’ di folclore utile alla comunicazione, si tratta di questioni progettuali. Realizzo una stazione e il problema non è solo farla stare in piedi, ma anche capire come si possono muovere facilmente le persone: si chiama “usabilità”.
Veloce parentesi: la questione riguarda molti interventi nelle stazioni italiane dove la messa a reddito degli spazi e conseguente commercializzazione diffusa ha tolto spazio e possibilità alla circolazione dei passeggeri. Negli orari di punta, discesa e salita treni a Milano Centrale sono occasione di corposi ingorghi, spintoni e calca. Però in compenso posso acquistare un vestito, che è sicuramente il motivo principale per cui mi sono recato in stazione.
Tornando a Bologna, se la mobilità per la risalita è così così, progetto buoni sistemi di segnaletica e orientamento wayfinding: chiari, di idonee dimensioni e cromie, difficili da fraintendere. Si tratta del mestiere che fanno i visual designer, detti anche grafici.
In entrambe le situazioni – di usabilità e circolazione negli spazi, di informazione e comunicazione dei percorsi – Bologna pare di poter dire possa essere migliorata.
Per dove sono state messe le scale, a questo punto, la soluzione è più difficile.