Gioiello delle Alpi famoso purtroppo per il giallo Franzoni. Prima del turismo il ferro era la sua ricchezza. Ora si sbaracca, dopo 35 anni di investimenti per conservare il sito e un trenino inutilizzabile. Ma albergatori e politica puntano su nuove funivie (altri 50 milioni). Storia di Luca e Oreste: da decenni nei cunicoli senza scavare un grammo di pietra
Sono gli ultimi giorni di miniera per Oreste Abram. Gli ultimi giorni in cui percorre le gallerie silenziose, gli ultimi giorni in cui, insieme a Luca Foretier, pilota il trenino che si inoltra nel cuore della montagna, ripara, controlla.
Oreste e Luca sono gli ultimi lavoratori della miniera di Cogne, sebbene non abbiano mai estratto nemmeno un grammo di minerale. A poco più di cento anni dalla nascita della Società Anonima per Azioni Miniere di Cogne, il prossimo 31 ottobre, con la definitiva cessazione della concessione mineraria, si chiuderà il sipario su uno dei più importanti siti di estrazione di minerali di ferro del nostro Paese, luogo di lavoro di generazioni di Cognens, cuore pulsante della valle prima che il turismo diventasse la prima risorsa economica.
In realtà, la miniera è inattiva dal 21 marzo 1979, quando una delle tante società, tutte pubbliche, che si sono succedute nella proprietà del sito decise che lo sfruttamento del minerale era anti-economico e interruppe l’attività estrattiva. Per 34 anni, però, alcuni dipendenti hanno continuato a lavorare in miniera, per tenere in efficienza e sicurezza gli impianti e fare un minimo di manutenzione.
Gli ultimi sono Oreste e Luca, figli e nipoti di minatori, naturalmente.
Fintecna, società creata negli anni 90 per dismettere e, possibilmente, “valorizzare” porzioni di proprietà pubbliche, ultima proprietaria del sito, ha calcolato che questa miniera senza più minatori sia costata circa 250mila euro all’anno, per pagare stipendi, attrezzature e bolletta elettrica. Un totale di 8 milioni di soldi pubblici investiti in un’attesa: l’attesa di una riconversione in parco minerario, che condurrebbe i visitatori nella miniera più alta d’Europa, a 2.500 metri, con gallerie e impianti visitabili, un panorama mozzafiato dal Monte Bianco al Gran Paradiso, sulle tracce di generazioni di Cognens e di immigrati. Ma nessun progetto è mai andato oltre il pourparler. Un rinvio continuo, soprattutto da parte dell’unico ente in grado di prendere in mano la situazione, anche finanziariamente: la Regione Autonoma Valle d’Aosta.
Fintecna, dal 2000 in poi dichiara “non profittevole” il sito, chiedendo di cessare la concessione mineraria. Nel 2011 la Regione accoglie finalmente la richiesta, prescrivendo però al concessionario una serie di costosi interventi per la messa in sicurezza: altri 8 milioni di spesa, poi il 31 ottobre, Fintecna staccherà la corrente e dirà per sempre addio a Cogne.
“È proprio questo il momento di partire. Con i meccanismi oliati e le gallerie in sicurezza. Non si può perdere altro tempo: senza elettricità e manutenzione il degrado sarà rapidissimo e inarrestabile”, dice Barbara Tutino, una delle “anime” del Comitato Cuore di Ferro che si batte per la trasformazione in parco minerario del sito. Pittrice, ha la miniera del sangue, visto che suo nonno era Franz Elter, mitico direttore-partigiano del sito. Insieme a lei il cugino Giorgio Elter, che con un gruppo di professionisti sta stilando un piano di fattibilità: “Con un investimento intorno ai 30 milioni si potrebbe creare un parco minerario dall’enorme potenziale, una via del ferro che da Aosta conduce i visitatori sino alla miniera, rimettendo in funzione il trenino che trasportava il minerale a valle”.
Il Trenino in questione in realtà è già stato sottoposto a una serie di interventi per essere adibito al trasporto persone, intorno agli anni 90, ma non è mai stato attivato, a causa di una serie di magagne saltate fuori in sede di collaudo. Il direttore dei lavori è stato condannato a risarcire la cifra record di 13 milioni e la Regione ha stabilito che la ferrovia non potrà mai essere attivata, destinandola allo smantellamento. Anche in questo caso, il Comitato Cuore di ferro non ci sta: “Il museo minerario”, spiega Tutino, “ha senso solo in una logica di sistema, che parta dall’acciaieria di Aosta e arrivi sino alla miniera”. “Se smantellano”, ragiona Elter, “avranno buttato 30 milioni. Se recuperano, aggiungendone una decina si avrà il trenino in funzione”. “La verità”, spiega, “è che non vogliono investire nella direzione di uno sviluppo turistico legato alla cultura. Si confrontano due visioni del futuro: chi, come noi, crede in un turismo culturale e naturalistico e chi pensa che senza il comprensorio sciistico non si vada da nessuna parte”.
E in effetti l’attuale amministrazione comunale (supportata dalla lobby degli albergatori) non fa mistero di veder di buon occhio il progetto di una funivia che colleghi Cogne, famosa per il trekking e per il fondo, ma povera di impianti da discesa, alle piste di Pila. Costo stimato: almeno 50 milioni: “I nostri alberghi non possono più permettersi di stare vuoti per tanti mesi all’anno”, dice il sindaco Franco Allera, “con la funivia l’offerta turistica di Cogne si completerebbe. Il recupero della miniera non può portare a un rendimento economico paragonabile”.
“In realtà” , controbatte Laurent Vierin, consigliere di opposizione in Consiglio Regionale, “il turismo culturale è un forte appoggio al turismo tout court, è complementare: con un progetto forte in mano, per la miniera di Cogne non sarebbe complicato attingere ai Fondi europei”.
Il sindaco Allera liquida i timori di chi vede segnato il destino della miniera come “pura speculazione politica” e, all’unisono con l’assessore regionale al Territorio Luca Bianchi, garantisce che l’addio di Fintecna, lungi dall’essere l’inizio della fine, costituisce l’avvio vero del recupero. “È impensabile buttare i soldi in un progetto di recupero globale”, precisa. “Bisogna andare per gradi: intanto tornare in possesso delle aree. Poi partire con un programma di recupero”.
Ma al comitato lo scetticismo la fa da padrone, visti i troppi anni di attese deluse. E Luca e Oreste, alla fine della loro giornata di lavoro guardano verso la luce che, dalla montagna, segnala da decenni la presenza della miniera. Temono che presto quella luce – e un pezzo delle loro vite – si spegnerà per sempre. E via con le funivie.
Il Fatto Quotidiano, Lunedì 30 settembre 2013