Yodit Berhane vive in Italia da circa ventotto anni, ed era a malapena tredicenne quando decise di lasciare l’Eritrea per raggiungere la sorella in Lombardia. Laureata in Scienze politiche con una tesi su Gli Ascari Eritrei nella storia coloniale italiana, al momento si sta dedicando a un lavoro di ricerca sul colonialismo in Etiopia con l’obiettivo di scrivere un libro sull’argomento, “perché c’è pochissimo materiale sul tema, con molte imprecisioni e incongruenze, e vorrei fare chiarezza su un pezzo di storia che sembra sia stato completamente rimosso dalla memoria di questo paese”.
“Si studia storia americana, francese e spagnola, ma poi non si studia la storia dell’Italia e delle sue colonie africane – continua Yodit. Quasi nessuno, ad esempio, conosce la figura di Rodolfo Graziani, a cui hanno persino avuto il coraggio di dedicare un sacrario, costato circa 120 mila euro e inaugurato l’11 agosto 2012 ad Affile, in provincia di Roma. Un generale fascista da molti considerato eroe di guerra, nonostante il sanguinario massacro di Addis Abeba (secondo fonti etiopiche circa 30.000 morti) e l’uccisione di almeno 1600 preti cristiano-copti, accusati di aiutare i ribelli Etiopi nella rivolta contro la colonizzazione italiana. Venne inserito dall’Onu nella lista dei criminali di guerra per l’uso di gas tossici e i bombardamenti degli ospedali della Croce Rossa, e sterminò migliaia di cristiani, fra cui donne e bambini”.
Lo stesso genere di efferatezze dibattute durante il processo di Norimberga per la Germania nazista, mentre per i criminali di guerra italiani non c’è mai stato niente del genere, nonostante le esecuzioni sommarie e l’apertura di campi di lavoro forzato e campi punitivi, dentro i quali migliaia di prigionieri persero la vita per denutrizione, acqua inquinata e malattie. Lo stesso Graziani venne processato per il solo reato di collaborazionismo coi nazisti, dove venne condannato a 19 anni di carcere per poi scontarne solo quattro mesi.
“Rimuovere il ricordo di un crimine vuol dire commetterlo di nuovo – ribadisce Yodit. L’Italia non ricorda che andò in Eritrea per avere una propria colonia da sfruttare e per garantire uno sbocco alle migliaia di Italiani che a quel tempo emigravano in America per cercare fortuna. Nella capitale Asmara, gli Italiani crearono peraltro il primo esperimento di apartheid della storia, molto prima del Sudafrica. Il centro della città venne chiamato Campo cintato ed era totalmente riservato agli italiani. Nei loro bar, ristoranti e scuole era vietato l’ingresso agli Eritrei, che negli autobus dovevano sedersi nei posti dietro. E questo riguardava persino gli Ascari che fino a poche ore prima avevano combattuto fianco a fianco con i soldati italiani.
A ciò si aggiunge un altro grande dono dell’occupazione italiana: l’imprecisa demarcazione dei confini fra Eritrea e Etiopia, oggi perennemente in conflitto per questo motivo. Basti anche solo ricordare che il nome Eritrea è stato scelto dall’Italia; prima esisteva un solo paese che si chiamava Abissinia”.
“Sotto occupazione dal 1885 al 1941 – prosegue – le terre vennero portate via ai contadini e nazionalizzate, mentre gli Eritrei furono mandati a combattere in Somalia, in Libia e in Etiopia, fino a raggiungere un 40% di giovani arruolati nel biennio del 1935-36, con evidenti conseguenze sull’economia del paese. Si consideri che gli Inglesi avevano stabilito un limite massimo del 9% della popolazione attiva oltre il quale significava danneggiare seriamente l’economia locale. Decine di migliaia morirono combattendo sotto la bandiera italiana, fra cui mio nonno, morto in Libia col battaglione Toselli, lasciando a casa mia nonna, in quel periodo incinta di mio padre e con mio zio di appena due anni. Due figli che nel 1935 e nel 1940 dovettero anch’essi partire in guerra per l’Italia in Etiopia, fortunatamente riuscendo a tornare sani e salvi. Ma nonostante i sacrifici e le perdite subite dai miei antenati Ascari, oggi gli Eritrei non hanno alcuna agevolazione nel venire in Italia, neppure i tantissimi meticci nati da un genitore italiano, a cui non è riconosciuta alcuna facilitazione burocratica. Lo testimoniano anche i profughi eritrei e somali spediti in Libia nel 2009 e le condizioni dei tanti che riescono a sbarcare”.
Quando le domando se si sente italiana, Yodit risponde: “Ho passaporto italiano, parlo la lingua e ho studiato in questo paese, ma gli italiani fanno veramente di tutto per continuare a farmi sentire una straniera. Persino mio nipote, nato e cresciuto a Milano, che non ha neppure mai visto l’Eritrea, non è considerato come un italiano.
Un paese di emigrati, nel passato e nel presente, che ha dimenticato fatti come quello del massacro di Aigues Mortes nel 1893 in Francia, quando oltre 500 francesi armati di pietre, bastoni e forconi fecero partire unacaccia all’immigrato italiano, principalmente colpevole di portare via il lavoro nelle saline di Peccais, perché accettava condizioni peggiori e salari più bassi. Basterebbe ricordarsi di episodi come questi e smetterla di generalizzare, rappresentando gli immigrati come criminali. Un delinquente non lo si distingue dall’etnia, e deve rispondere alla giustizia a prescindere dal suo paese d’origine.
Vorrei che lo capissero anche i parlamentari che ancora occupano una carica pubblica dopo gli insulti razzisti mossi contro la ministra all’integrazione Kyenge, che non conoscendo realtà diverse attaccano solo per paura e ignoranza, mentre il confronto fra culture è da sempre una forma di arricchimento e miglioramento della società”.