Nei giorni scorsi è circolata una notizia sui principali social network riferita ad una possibile contaminazione del tonno di diverse marche perché pescato in una zona Fao, le zone nelle quali sono convenzionalmente suddivisi gli oceani, vicina alla tristemente nota località di Fukushima. La zona 61. La notizia ha preso il via prima equivocando la zona 71, una di quelle in cui si pesca il tonno, con la 61, poi sostenendo che comunque la zona 71 è vicino alla 61 e che quindi il rischio era concreto.
La fortunatamente la notizia è stata immediatamente smentita anche dai principali siti che si occupano di sicurezza alimentare e informazione ai consumatori: da Ecoblog a Il fatto alimentare, da Altroconsumo a Io leggo l’etichetta.
Tuttavia la falsa notizia è riuscita a scatenare un vero e proprio caso. Ma questa non è che l’ultima della molte bufale che circolano in rete, ricordo solo le più famose: il grano contaminato della Barilla, il latte ribollito tante volte quante il numero riportato sul fondo del Brik o l’inesistente lista di additivi cancerogeni del centro Antitumori di Aviano, noto falso che gira da circa 10 anni.
Esiste già una letteratura scientifica che ha studiato il tema delle bufale in rete: provo a riassumere gli aspetti che più mi hanno colpito. Nel gergo di Internet “bufala” indica un tentativo di ingannare un pubblico presentando volutamente per reale qualcosa di falso. Si distingue generalmente dalla truffa per la mancanza di profitto a scapito delle vittime.
Tutte queste hanno in comune alcune parole chiave che ne facilitano la diffusione: Disgusto, Rabbia, Indignazione per un argomento sentito come la sicurezza alimentare. Hanno un effetto cascata, perché molti rimbalzano la stessa notizia autoalimentando la cosa. Predisposizione a credere che sia vera… a prescindere, non conoscenza diretta dei fatti: quindi, tendenza ad approssimare. A questo si aggiunge un fenomeno tipico dei social network ovvero la disconferma letta come conferma. Ovvero se sono convinto di una cosa non voglio assolutamente sentirmi dire che sbaglio, soprattutto se chi mi scrive è lo stesso a cui ho rivolto la mia indignazione.
Ma curiosa è anche la dinamica con la quale si diffonde la bufala. Infatti la notizia fa leva su alcuni sentimenti umani di “base” quali la curiosità, l’emotività la critica. Pertanto molte persone, in assoluta bona fede e possedendo nella maggior parte dei casi, anche un livello di cultura medio alta, diviene strumento inconsapevole di un meccanismo perverso, che in molti casi ritornerà anche a distanza di anni, perché essendo la rete bulimica, la notizia verrà dimenticata in un giorno, ma a differenza di un quotidiano, non servirà ad incartare i fiori, ritornerà.
Questo fenomeno è talmente diffuso che, come dicevo, sono nati dei veri e propri siti specializzati per sfatare i miti di queste bufale. Discovery Channel addirittura produce una trasmissione “Miti da sfatare”. Su Internet, il sito Snopes contiene una delle maggiori collezioni di bufale e leggende metropolitane, con analisi dettagliate caso per caso. In lingua italiana c’è il “Servizio Antibufala” e molti siti, hanno aree dedicate.
Quindi uno dei punti di maggior forza della rete, l’accessibilità e la disponibilità di informazioni, rischia di farci diventare strumenti inconsapevoli di disinformazione, perché tendiamo a prendere per vero tutto quello che leggiamo o intercettiamo, soprattutto sui social network, dove spesso chi ti gira un’informazione è anche un conoscente. I dubbi te li crea la libertà, quindi un sano dubitare mai come in questi casi è utile.