Lacrima Napolitano per gli atteggiamenti “inquietanti” dei gruppi parlamentari del Pdl, o meglio, dei 188 (97 deputati, 91 senatori) cortigiani di un Re Sole mai apparso così minaccioso per un Paese dalla smarrita democrazia, lacrime per le dimissioni dei ministri che pongono fine ad un governo nato in crisi. Lacrime e un aggettivo – “inquietante” – che fanno scalpore ma le une e l’altro rivolti, in sostanza, ad istituzioni svuotate, annullate nel dibattito dal meccanismo delle grandi intese, distanti dal reale a cui la politica dovrebbe dare risposte. E allora non è inquietante ma ordinaria vergogna che il governo vacilli su un ricatto servilmente rivolto a proteggere un interesse individuale, niente poteva essere meno prevedibile. Bisogna vederla, renderla percepibile la distanza tra ciò in cui è infognata la politica istituzionale e le questioni reali che invece ne svelano l’assenza colpevole e, questa sì, inquietante. E l’emergenza ambientale e sanitaria che sta facendo riesplodere le mobilitazioni popolari in Campania, eco consequenziale della mai risolta mala gestione dei rifiuti e del mancato avvio delle bonifiche, è una di quelle questioni che rende palpabile questa distanza.
In lacrime c’era l’intera comunità di Carinaro, provincia di Caserta, ai funerali di Marianna Rubino, 9 anni, morta di leucemia, altro nome finito nella lista di decessi in giovanissima età nella Terra dei Fuochi, l’area tra Napoli e Caserta devastata dai roghi tossici e dall’interramento di rifiuti industriali. In assenza di un registro tumori, in Campania si continua a morire di cancro e, al di là di ogni studio scientifico, la correlazione tra l’esposizione ad un disastro ambientale di proporzioni spaventose e l’aumento degli indici di mortalità e dell’incidenza di patologie gravi è viva percezione delle comunità locali. Dati esperienziali che rimangono coperti da silenzio, come le dichiarazioni del direttore del camposanto di Caivano secondo cui dei 300 recenti decessi in paese il 70% è per tumore.
Insomma, le comunità locali registrano sulla propria pelle quello che le istituzioni non si preoccupano di approfondire e il problema è che fin quando non esisteranno rapporti scientifici che attestino la correlazione tra decessi e disastro ambientale non esisteranno nemmeno prove valide da poter utilizzare in tribunale per chi subisce quello che il professor Antonio Giordano ha definito “biocidio”: il danneggiamento del patrimonio genetico dei campani che li espone maggiormente al rischio di contrarre tumori e altre forme di neoplasie. Uno sterminio conseguenza anche delle azioni di quella classe politica per cui Napolitano versa lacrime ma il cui fatiscente comportamento, proprio per questo, non sorprende; un comportamento che il Capo dello Stato avrebbe fatto bene a definire vergognoso perché tale è al di là del poco rammarico che può destare la fine di un governo di larghe intese, segno in sé di crisi democratica. È per questo sterminio, invece, che andrebbero spese lacrime di dolore e la parola “inquietante”. Dal Capo dello Stato all’ultimo portaborse ciò non avviene e questo è emblema della distanza tra la politica in crisi perenne e il paese reale.
Un segnale in controtendenza però, in queste ore, lo ha dato proprio il Presidente della Repubblica che prima di concludere la sua visita a Napoli per la celebrazione delle Quattro giornate ha preso coscienza «di una situazione assai complessa e seria. Non si tratta solo dei problemi da tempo all’ordine del giorno del ciclo di smaltimento dei rifiuti nella città di Napoli e nell’area campana. Occorre anche porre riparo ai guasti di molti anni di prassi illegale (…) di interramento di rifiuti tossici (…). Le conseguenze di pauroso inquinamento dei terreni con rilevanti ricadute sulla salute e sull’ambiente esigono la realizzazione di un vasto programma di bonifiche» e fa riferimento anche alla «importante mobilitazione civile da parte della popolazione e soprattutto dei giovani». Preoccupa però ascoltare il Capo dello Stato affermare che questa è «un’altra delle situazioni che richiederebbero stabilità e continuità nella direzione politica», preoccupa perché, ad esempio, in visita in questi territori, gli ultimi due ministri della salute, Balduzzi (governo Monti) e Lorenzin hanno ribadito che in Campania non bisogna creare allarmismi e che l’incremento di tumori è dovuto all’eccesso di fumo e agli stili di vita.
La legge regionale n. 19 del 2012 che aveva istituito il registro per i tumori in Campania è stata impugnata dinanzi alla Corte costituzionale perché «contiene alcune disposizioni in contrasto con il piano di rientro dal disavanzo sanitario della Campania». La Consulta dichiarò «troppo oneroso e fuori budget» il provvedimento, ciò significa – secondo i giudici che «non è il registro ad essere censurato, ma l’istituzione di nuovi uffici e di nuovi incarichi professionali che imporrebbero oneri aggiuntivi incompatibili con il piano di rientro previsto per la Campania». A cittadini e magistrati viene sottratto uno strumento fondamentale per provare giuridicamente la connessione tra i danni ambientali causati da inceneritori, discariche aperte in procedura emergenziale, interramento di rifiuti industriali e l’incremento di tumori ed altre patologie. Numerose le inchieste in cui ciò sarebbe stato di importanza fondamentale: Adelphi (1993), Greenland (2002), Re Mida, Eldorado e Cassiopea (2003), Mosca (2004) Terra Madre (2006), Dirty Pack (2007), Carosello (2008).
Nel 2004 la rivista The Lancet Oncology pubblicò uno studio di Kathryn Senior e Alfredo Mazza, ricercatore del Cnr di Pisa, dal titolo: Il “Triangolo della morte” italiano collegato alla crisi dei rifiuti. È l’area della provincia di Napoli compresa tra Acerra, Nola e Marigliano, circa 550.000 abitanti, un tempo la zona più fertile della Campania. Nel 2007, Organizzazione Mondiale della Sanità, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche e Regione Campania hanno monitorato in 196 comuni campani la mortalità per tumori e le malformazioni congenite nel periodo dal 1994 al 2002, evidenziando che «la mortalità per tutte le cause è risultata in eccesso significativo per gli uomini del 19% nei comuni della provincia di Caserta e del 43% nei comuni della provincia di Napoli; per le donne del 23% nella provincia di Caserta e del 47% nella provincia di Napoli».
Nonostante, nello studio, venga rilevato che «le zone a maggior rischio identificate negli studi sulla mortalità e sulle malformazioni congenite in buona parte si sovrappongono e sono interessate dalla presenza di discariche e siti di abbandono incontrollato di rifiuti», si conclude: «è comunque difficile stabilire se la corrispondenza dei numerosi decessi con la possibile occorrenza di esposizioni legate allo smaltimento dei rifiuti sia di natura causale e, nel caso, stimare l’entità di tale impatto».
Bene, ma allora ed è il caso, solo per citarne uno, dell’inceneritore di Giugliano, nella già devastata Terra dei Fuochi ammesso, come non si vuole qui sostenere, che non vi sia certezza scientifica ma quantomeno il rischio di una correlazione tra i danni ambientali determinati da questi impianti e il deterioramento delle condizioni di salute delle popolazioni ad essi esposte, più che attendere certezze scientifiche colpevolmente in ritardo o non cercate affatto, l’azione delle amministrazioni andrebbe indirizzata nel rispetto del principio di precauzione, traduzione giuridica del «primum non nocere» di Ippocrate, oggi ripreso dall’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, dove si stabilisce che «la politica dell’Unione in materia ambientale mira ad un elevato livello di tutela» ed «è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio chi inquina paga». Al di là delle questioni ambientali, la Commissione Europea ha specificato in più occasioni che il campo di applicazione di tale principio va esteso a tutti i casi in cui si identifichi un rischio.