Sorvegliato dall’Anvur e illuminato da indicatori bibliometrici e regole di valutazione, il nuovo corso del reclutamento dei professori universitari è in pieno dispiegamento col progressivo concludersi dei lavori delle commissioni giudicatrici delle abilitazioni nazionali. I candidati (ed anche chi aveva magari scelto di partecipare al prossimo turno) discutono indiscrezioni ed esiti ufficiosi rallegrandosi o rammaricandosi – in modo più o meno colorito, in attesa della pubblicazione ufficiale dei risultati da parte del Ministero. E’ opinione diffusa, all’esterno delle università, che finalmente verrà fatta pulizia nei corridoi baronali, e che solo i “puri di cuore” saranno ammessi nel “regno dei cieli”. Ma siamo sicuri che le nuove regole funzioneranno?
A parte le considerazioni etico-filosofiche su un “bene” che sia imposto, il punto è che, se siamo arrivati al livello di sviluppo odierno, è proprio perché l’umanità non ha mai accettato supinamente di piegarsi alle condizioni imposte dall’esterno: sarebbe altrimenti rimasta a procacciarsi cibo a mani nude e a consumarlo freddo nel buio di una caverna. Le persone sono (fortunatamente e ancora) più intelligenti di qualunque sistema di regole e di indicatori costruito con il supporto della tecnologia per costringerle a comportarsi bene: il fenomeno è noto nelle scienze sociali come Legge di Goodhart: “Quando un indicatore sociale o economico diventa strumento per attuare una politica sociale o economica tende a perdere il contenuto informativo che lo rendeva adatto a tale scopo”.
Pensiamo alla rapidità con cui l’essere umano è giunto a comprendere i punti deboli di molti sistemi informatici, basati su sofisticati algoritmi e complesse basi di dati, e a sfruttarli a proprio vantaggio.
Abbiamo iniziato con le tecniche di promozione dei siti web per ottimizzarne la posizione nei risultati generati dai motori di ricerca. Poi abbiamo letto dei falsi profili sui social network (83 milioni quelli su Facebook secondo le stime fornite dalla stessa società in occasione della sua quotazione in borsa usati per promuovere eventi e personaggi). Più recentemente è arrivata la notizia che anche per le recensioni dei libri il meccanismo del “mi piace” sta venendo piegato dalle esigenze commerciali. E allora, perché per soddisfare aspirazioni intellettualmente più nobili dei bisogni primari gli esseri umani dovrebbero comportarsi diversamente? Perché illudersi che, se un sistema sociale è deviato, l’unico modo di riportarlo sulla retta via sia quello di imporre automatismi dall’esterno?
Questo non significa che l’informatica e le sue tecnologie siano prive di utilità per meglio governare la società umana. Tutt’altro. Dal mio punto di vista, saranno proprio questi fattori ad avere un impatto sempre più rilevante sul futuro dell’umanità: solo l’invenzione della stampa ha avuto nel passato effetti forse avvicinabili a questi. Ma questo impatto dovrà rispettare la natura umana nella sua pienezza: la potenza e la velocità con cui le tecnologie procedono alla raccolta e alla correlazione dei dati devono essere finalizzate al solo scopo di fornire alle persone un più ricco insieme di elementi sulla base dei quali formulare il giudizio. E non il giudizio in sé.
Insomma, la responsabilità ultima deve restare sempre dell’essere umano. Diventa indispensabile, dunque, riequilibrare il binomio tecnologie e responsabilità, soprattutto quando le decisioni che ne conseguono producono un impatto collettivo. E’ per me preferibile sapere che Paolo è arrivato in cattedra non perché il suo “indice-h” è 23, ma perché i miei colleghi Maria, Piero, Cristina e Marco lo hanno giudicato idoneo. E conoscere quali elementi oggettivi, includendo gli indicatori costruiti mediante strumenti informatici, sono stati presi in considerazione e quali motivazioni sono state formulate. E poi verificare, a sufficiente distanza di tempo (5-7 anni), l’evoluzione di carriera di quei candidati che sono stati ritenuti idonei e l’affidabilità dei commissari che li hanno sostenuti, usando ancora l’informatica come ausilio per la raccolta, il filtraggio e l’analisi dei dati rilevanti a tal scopo.
Concludendo, ci son tre capisaldi:
– avere, nei momenti di scelta, trasparenza del processo e responsabilità degli individui, e darne il massimo di pubblica evidenza;
– usare l’informatica con i suoi strumenti per stabilire correlazioni ed individuare tendenze;
– far assumere alle persone la responsabilità di definire il significato di ciò che viene osservato e misurato.
Non ci sono scorciatoie: la possibilità di un futuro migliore, per l’università come per la società, dipende molto più dalle persone che dai meccanismi, anche se sempre più sofisticati.
A chi vuole approfondire la questione della valutazione della ricerca suggerisco di leggere il rapporto che l’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Francia ha sottomesso al Ministro dell’Istruzione Superiore e della Ricerca nel gennaio 2011. E’ disponibile sia in francese http://www.academie-sciences.