Ancora “sette anni di dolore” nel Regno Unito, sette anni di tagli al welfare e ripensamenti della spesa pubblica. In una parola, austerity. Il governo guidato da David Cameron lo ha fatto sapere dal congresso dei conservatori in corso a Manchester. “Vogliamo arrivare a un surplus di bilancio entro il 2020 – ha detto il cancelliere dello scacchiere, e cioè ministro dell’economia, George Osborne – e per fare questo ci aspettano altri sette anni di tagli al welfare”. Così, nonostante un’economia britannica finalmente in crescita – “Iniziamo a vedere il sole dietro la collina”, ha detto sempre Osborne – il partito conservatore, al governo insieme a quello liberaldemocratico, pensa a stringere ancora la cinghia.
Nello stesso giorno del discorso di Osborne al congresso arrivano però due notizie, entrambe trascurate o valutate con scarso interesse dalla stampa britannica, che fanno riflettere. Un britannico su cinque, ogni inverno, quindi quando il costo dell’energia si fa più alto, è messo di fronte al dilemma se “heat or eat”, un gioco di parole che più o meno significa “riscaldarsi o mangiare”. L’altra notizia, arrivata proprio in contemporanea alle parole di Osborne, è poi stata che quatto su cinque di coloro che si rivolgono a società di leasing per avere un prestito immediato lo fanno per poter fare la spesa al supermercato. Il debito pubblico britannico per il 2013-2014 dovrebbe essere di circa 120 miliardi di sterline (circa 140 miliardi di euro), una cifra che dovrebbe scendere a 43 miliardi di sterline nel 2017-2018.
Così, ecco farsi chiaro come, per arrivare a un pareggio o a un surplus entro il 2020 occorrano veramente grandi sforzi. L’unico Paese del G8 ad avere un surplus, come noto, è al momento la Germania. Il Regno Unito vuole portarsi allo stesso livello. E per farlo, appunto, ecco “i sette anni di dolore”, come ha titolato una parte della stampa britannica. Ancora non è chiaro quali possano essere le misure di taglio al welfare predisposte dal governo. Nella retorica da congresso di partito, infatti, si è parlato di quello che verrà implementato e non di quello che verrà tagliato. Si è così venuto a sapere che sarà reso disponibile un fondo per gli studi di medici di famiglia, con l’obiettivo di portarli a essere operativi sette giorni su sette, dalle 8 del mattino alle 8 di sera. Ancora, con grande enfasi, si è parlato dell’aumento dei salari minimi garantiti dallo Stato, un 2% in più disponibile proprio dal primo ottobre.
Ma si sa che il taglio alla spesa pubblica andrà comunque fatto, “a partire dai benefit disponibili a chi lavora”, ha detto Osborne, assicurando che, per il momento, non verrà colpito l’esercito dei disoccupati: ancora un 7% della popolazione, in un Paese, il Regno Unito, con velleità da nazione scandinava e da tasso di disoccupazione di gran lunga inferiore. Intanto, però, il discorso dei conservatori in congresso è anche una reazione alla conferenza dei laburisti della settimana scorsa, quando il leader del partito d’opposizione, Ed Miliband, parlò di “nuove e necessarie nazionalizzazioni”, di tasse da tenere sotto controllo, di costi dell’energia da ridurre. Cameron ora ne è convinto: il suo premere per un surplus di bilancio sarà il dividendo più importante per il partito conservatore in vista delle elezioni politiche del 2015, un argomento che difficilmente potrà essere attaccato dal Labour e sul quale costruire una nuova e vincente immagine del partito dei Tory.
Anche la riforma dei medici di famiglia, fanno notare ora editorialisti e commentatori, va in questa direzione, così come la stretta promessa dal ministro dell’Interno Theresa May ai ricorsi legali da parte degli immigrati che delinquono e che vengono espatriati con la forza. Intanto, però, nonostante la retorica dei discorsi politici, rimangono quei britannici costretti a scegliere se mangiare o riscaldarsi o costretti a chiedere un prestito alle società di leasing. Con un’altra percentuale che spaventa: un quinto di chi si rivolge a una compagnia di prestiti e ottiene del denaro è senza lavoro. E non si sa, quindi, come ripagherà il debito. “Probabilmente lo farà indebitandosi ulteriormente”, dicono ora le associazioni per la tutela dei più poveri, come Christians against poverty.