Sarà ricordato come la faccia pulita degli Spaghetti Western Giuliano Gemma, morto ieri sera a 75 anni in un incidente stradale vicino a Cerveteri, dove abitava. Dal mitico duello finale in cui uccide Lee Van Cleef nel cupo e introspettivo I giorni dell’Ira agli allegri schiaffoni che tirava insieme a Bud Spencer nel goliardico Anche Gli Angeli Mangiano Fagioli, Giuliano Gemma è stato il traghettatore del genere western e poliziesco dalle atmosfere noir della fine degli anni Sessanta a quelle comiche del decennio successivo. Il suo volto impresso sulla celluloide ha simboleggiato, nelle sale cinematografiche e nei poster che tappezzavano le città, entrambe le facce del desiderio della nazione in quegli anni: il conflitto e il divertimento.
Nato a Roma nel 1938 in una famiglia di artigiani, il padre barbiere e il nonno calzolaio, Gemma sogna di fare lo sportivo e si avvicina al cinema come stuntman. Poi tra un viaggio e l’altro a Cinecittà entra nel giro, e comincia con alcuni piccoli ruoli anche in mega-produzioni per l’epoca, è centurione nel Ben Hur di William Wyler e generale ne Il Gattopardo di Visconti. Lavora nelle commedie di Dino Risi e nei peplum di Cottafavi, fino a che Duccio Tessari non gli offre le prime parti da protagonista nel nascente filone degli Spaghetti Western. Come molti registi che si reinventano nel genere, e diversi attori alle prime armi ancora sconosciuti al pubblico, nei primi ruoli Gemma si presenta con nome americano: il più delle volte è il geniale Montgomery Wood, omaggio al bello del western del cinema americano Montgomery Clift e all’improbabile regista Ed Wood.
Con
Tessari,
Corbucci e
Valerii raggiunge il successo, il cui apice a quarant’anni di distanza ancora il divertente Anche Gli Angeli Mangiano I Fagioli di Enzo Barboni.
Con vari richiami a quel film è stato infatti ricordato ieri anche dai più giovani sui social network, appena giunta la notizia della scomparsa. Finita la stagione dei deserti e delle praterie del western, il riconoscimento autoriale arriva con un deserto meno caciarone e più metafisico. Gemma recita ne Il Deserto dei Tartari di Valeri Zurlini. Poi altro cinema d’autore con Damiano Damiani, Monicelli e Dario Argento, che confermano che quel ragazzino che voleva fare il pugile o l’atleta, e prestava il suo corpo al cinema come stuntman, si è definitivamente trasformato in un attore completo. Il figlio di artigiani non poteva infatti che trovare la sua giusta collocazione nella stagione più splendente del cinema artigianale italiano.
“La pallottola giusta nel momento giusto”, è la sesta regola fondamentale del decalogo per diventare pistolero che il duro Lee Van Cliff declama al giovane latinista (negli Spaghetti Western c’erano anche latinisti) Giuliano Gemma ne I Giorni dell’Ira.
Gemma stato l’uomo giusto per raccontare il paese negli anni Settanta, un corpo in bilico tra il divo americano e il ragazzo di borgata, un volto che soffre e uccide come una faccia che può essere allegramente presa a schiaffi. E il fatto che dalla fine degli anni Settanta in poi la sua carriera sia stata dedicata soprattutto alle serie televisive, è la certificazione della fine di un certo cinema di genere, dissoltosi all’alba degli anni Ottanta. Un cinema minore che, ben oltre i ripescaggi autoriali di Quentin Tarantino o le rivisitazioni postmoderne alla ‘stracult’, meriterebbe un giudizio critico molto più complesso e articolato.