La drone music è tanto distante dall’essere musica che essa smette di esserlo prima che tu possa rendertene conto. […] All’inizio c’era una parola, e quella parola era oooooommmmmmm. Dio era probabilmente un pioniere della drone music, e vi è qualcosa di religioso in questa musica… o, piuttosto, di spirituale.
Dal minimalismo e La Monte Young, da Charlemagne Palestine fino ai Sunn O))). Così si erge la drone music, uno dei generi che, nel corso degli ultimi 50 anni, ha subito, pur nel suo apparire sempre un po’ uguale per le orecchie disattente, profondi cambiamenti. Le avanguardie musicali hanno sempre utilizzato queste note reiterate all’infinito, queste cortine di suoni fumose. Spesso contaminando metal, ambient, finanche, soprattutto negli ultimi anni, l’elettronica più spinta.
Tim Hecker ne è forse l’esponente di spicco degli ultimi 10 anni. Canadese di Vancouver, ha tracciato la strada verso ambienti sonori che annichiliscono. Ed il suo nuovo album, intitolato “Virgins“, mette parzialmente da parte i ruggiti del precedente capolavoro “Ravedeath, 1972“, per focalizzarsi su una musica maggiormente liturgica e d’ascolto. I moti harsh vengono, salvo qualche episodio, isolati e il pianoforte prende forza soprattutto nella seconda metà dell’Lp. Questa ambient-drone strutturata porta alla mente immaginari nordici, freddi eppure consolanti e placidi.
Stasera presenterà “Virgins” a Bologna (nello splendido Palazzo Re Enzo, all’interno del Robot Festival), mentre venerdì sarà di scena a Milano all’Auditorium San Fedele (per l’occasione verrà montato l’acusmonium, ossia un assembramento di 40 speaker spazializzati).
Per chi vuole evadere dal qui ed ora non troverà risposta migliore.