Ho chiesto a tutte le deputate e i deputati di venire in aula con qualcosa di rosso in occasione del dibattito alla Camera del decreto contro il femminicidio. Il rosso, infatti, è il simbolo internazionalmente riconosciuto per dire basta alla violenza contro le donne, fisica, psicologica e verbale. E’ un piccolo gesto, ma un grande segnale, così come è un segnale questo decreto che finalmente porta il tema della violenza contro le donne da una sfera privata a una sfera pubblica. È il simbolo di una nuova attenzione e di una nuova sensibilità di cui va dato atto al governo.
So bene che questo decreto non è quello che avremmo desiderato, ma so anche che un mezzo bene è meglio di nessun bene. Nel corso del dibattito in commissione Giustizia abbiamo lavorato per portare dei miglioramenti al decreto, anche grazie ai suggerimenti e alle indicazioni delle associazioni femminili che sono le vere esperte in materia, quelle che da anni si occupano di violenza sulle donne. Qualcosa di buono è stato fatto, molto c’è ancora da fare. Un primo passo positivo è stato quello di aver ottenuto delle risorse per far sì che il provvedimento non resti lettera morta perché nessuna riforma può essere a costo zero.
Restano delle preoccupazioni. Una legge che punti soprattutto sull’aspetto punitivo non risolve il problema: la nostra priorità non è che gli assassini vadano in galera, (certo che ci devono andare) ma che non vi siano più femminicidi e violenze sulle donne.
Da qui la necessità di stanziare maggiori risorse per sviluppare politiche di prevenzione, per sostenere servizi e centri antiviolenza e per svolgere un’azione educativa che parta dalle scuole e che non trascuri nessun aspetto a cominciare dal linguaggio che non deve essere sessista. E’ un lavoro lungo, faticoso, che porterà a risultati certi, ma non immediati. Forse per questo si è voluta dare una maggiore enfasi a provvedimenti di effetto come i braccialetti elettronici per i molestatori.
Qualunque legge, però, diventa inutile se non si riesce a farla rispettare e i recenti femminicidi, quasi sempre preceduti da una o più denunce da parte delle vittime, dimostrano che anche in presenza di una precisa richiesta di aiuto non siamo stati in grado di dare risposte.
La violenza sulle donne è qualcosa che riguarda tutti: noi parlamentari che dobbiamo fare una buona legge, le forze dell’ordine che devono svolgere il fondamentale ruolo di protezione e prevenzione, i giudici che devono svolgere i processi senza colpevolizzare le vittime, ed emettere le sentenze di condanna, e le cittadine e i cittadini, che hanno il compito di educare le proprie figlie a non subire e i propri figli al rispetto, e il dovere di non voltarsi quando vedono una donna ingiuriata o malmenata.
Iniziamo noi in Parlamento con qualcosa di rosso per dire basta.