L'inchiesta della Procura di Roma nasce da un'indagine dei pm di Bologna per truffa a carico di Zoia Veronesi, collaboratrice dell'ex segretario del Partito democratico. I magistrati del capoluogo dell'Emilia Romagna hanno inviato le carte ai colleghi della capitale per competenza territoriale
C’è un’indagine aperta su un conto corrente intestato a Pier Luigi Bersani e alla sua segretaria Zoia Veronesi sul quale sono affluiti nell’arco di molti anni, contributi privati. La Procura di Bologna ha trasmesso tre settimane fa in gran segreto alla Procura di Roma un fascicolo (senza indagati) riguardante il conto dell’agenzia del Banco di Napoli della Camera, un particolare non da poco finora rimasto segreto, nonostante sia emerso più di un anno fa nell’indagine bolognese per truffa a carico della segretaria di Bersani. La Procura guidata da Giuseppe Pignatone ora dovrebbe delegare nei prossimi giorni alla Guardia di Finanza le indagini per verificare il rispetto delle leggi che disciplinano il finanziamento alla politica.
Il sostituto procuratore Giuseppe Di Giorgio e il procuratore aggiunto Valter Giovannini si sono imbattuti un anno fa nel conto, nell’ambito dell’inchiesta sulla segretaria e su Bruno Solaroli, l’ex capo di gabinetto di Errani. La procura, quando chiese alle banche gli estratti conti di Zoia Veronesi mirava a dimostrare la truffa che si sarebbe concretizzata nell’aver fatto figurare un datore di lavoro pubblico, cioè la Regione Emilia Romagna, differente da quello reale e privato, cioè il Pd. L’ammontare del raggiro, secondo l’accusa, sarebbe stato di circa 140 mila euro lordi (più rimborsi), pari agli stipendi percepiti dalla Regione dal primo giugno 2008 al 28 marzo 2010, quando lavorava per Bersani a Roma, ma la Regione la pagava. Quando le accuse cominciarono a circolare, la Veronesi si dimise dalla Regione e venne assunta dal Pd.
Il conto corrente è stato aperto nel 2000 ed è stato alimentato con molteplici versamenti per una somma complessiva che si aggira, secondo quanto risulta al Fatto , sui 450 mila euro. Probabilmente è tutto regolare, come dice Bersani al Fatto in un’intervista. I magistrati potrebbero accertare facilmente se le entrate del conto sono in regola con le norme sul finanziamento privato che impongono di registrare tutti i contributi ricevuti alla Camera. Mentre, per i finanziamenti della campagna elettorale, è necessaria anche la presentazione di un’apposita dichiarazione del mandatario elettorale, un professionista scelto dal deputato che si assume la responsabilità di certificare entrate, uscite e avanzo di gestione della campagna elettorale. Sarebbe bastato acquisire le carte alla Camera e sentire come persone informate Bersani e il suo mandatario, il piacentino Fabio Sbordi, per sgombrare il campo da ogni dubbio. I pm Giovannini e Di Giorgio invece hanno optato per una linea diversa. La scelta ha una sua logica: la Procura di Bologna indagava su un reato (la truffa) che non c’entra nulla con i contributi per Bersani. E poi il conto è basato alla filiale della Camera e la competenza è romana.
Quando, il 26 ottobre 2012, la segretaria di Bersani viene interrogata, il procuratore aggiunto Giovannini e il sostituto Di Giorgio, oltre a contestarle le accuse, però fanno anche le domande sul conto di Bersani. La segretaria risponde che si tratta di un vecchio rapporto bancario del 2000 riferibile all’attività politica di Bersani e che i bonifici e versamenti di terzi erano stati regolarmente registrati. La Procura di Bologna segreta l’interrogatorio, non dispone accertamenti sul conto per non bruciare la propria indagine e non trasmette il fascicolo a Roma. Un mese dopo Bersani vince le primarie del Pd contro Renzi e quattro mesi dopo il segretario tenta di ’smacchiare il giaguaro’ alle elezioni politiche.
Solo tre settimane fa, quando la procura deposita l’avviso di chiusura delle indagini ex articolo 415 bis e quindi le carte del fascicolo diventano pubbliche, la Procura stralcia la vicenda del conto in un fascicolo modello 45 (senza indagati né ipotesi di reato e può essere archiviato senza passare dal gip) e trasmette tutto a Roma.
“Bastano poche ore per accertare che tutti i contributi che sono confluiti su quel conto – si infervora Pier Luigi Bersani – sono stati registrati e dichiarati alla Camera”. L’avvocato Paolo Trombetti, uno dei legali più in vista di Bologna, che difende Zoia Veronesi, è lapidario: “Come la mia assistita ha chiarito si tratta di un conto sul quale sono affluiti versamenti inerenti l’attività politica di Bersani e che è stato alimentato con contributi pienamente regolari. Non c’è alcunché di illecito”. Secondo Trombetti non c’è nessuna stranezza nel fatto che il conto di Bersani è intestato a Zoia Veronesi e non a Fabio Sbordi, il mandatario elettorale per le campagne del 2001, 2006 e 2008. Al Fatto , Sbordi dice: “Io posso garantire che i contributi ricevuti durante le campagne elettorali da Bersani sono stati versati sul conto corrente a me intestato e che risulta alla Camera, con tanto di prospetto nel quale elenco entrate, uscite e eventuale avanzo”.
Nel 2006, Bersani ha raccolto 424 mila euro (tra i quali i 98 mila euro famigerati dei Riva e poi 50 mila euro da Federacciai, 40 mila da Toto, 20 mila da Siram, 50 mila da TPE, 35 mila euro da Manutencoop, 50 mila da TPE Trading per l’Energia, 49 mila da CNS, 30 mila da Fincosit, 10 mila da Confitarma, 15 mila dal Comitato Nazionale Caccia) mentre nel 2008, le entrate totali sono state di 169 mila e 500, (tra queste Federacciai: 40 mila e Siram: 20 mila). Al netto delle spese elettorali, l’avanzo è stato di 119 mila euro. Sbordi spiega: “la somma avanzata è stata sempre bonificata dal conto dedicato alla campagna elettorale al conto indicatomi da Bersani, del quale non so nulla”.
da il Fatto Quotidiano di venerdì 4 ottobre 2013