Il dolore. La felicità. Non siamo più abituati a condividerli con gli altri. Con un Paese, con una folla. E’ tutto racchiuso nella cerchia sempre più stretta della vita personale. Poi un giorno
ci ritroviamo uniti davanti alle immagini di Lampedusa. E la diga che abbiamo alzato intorno a noi crolla: non sappiamo i nomi dei morti allineati sulla riva. Eppure ciò che proviamo, tutti insieme, è dolore.
Certo, non è una consolazione, ma quei poveri migranti una traccia l’hanno lasciata: ci hanno fatto sentire uniti. Ci hanno ricordato che gli stati d’animo, anche profondi, non sono soltanto individuali. Si parlava di massa. Una volta. Che significa anche peso. Una forza cui abbiamo rinunciato. Ci si indignava per il golpe manovrato dagli americani in Cile, per l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Da ragazzi si scendeva in strada, non solo per saltare l’interrogazione di matematica. Ci si batteva per un mondo migliore che comprendeva anche noi.
Ma non sono soltanto il dolore e l’indignazione che si possono condividere. Ci sono anche la speranza e perfino la felicità che pare un sentimento intrinsecamente individuale. Chi ha quarant’anni – la generazione che viene sbrigativamente definita come arresa e disillusa – ricorda il 1989. Tanti studenti allora si ritrovarono a Berlino mentre cadeva il Muro. Non erano davvero berlinesi, come diceva Kennedy, eppure di quelle ore ricordano un entusiasmo quasi insostenibile. Condiviso e amplificato. Ricordano se stessi ancor prima della dittatura comunista sconfitta. Accadde anche a Milano: un giorno di quell’autunno in piazza del Duomo arrivò Gorbaciov e intorno a lui si riunirono centomila persone. Urlavano: “Gorby, Gorby, Gorby”, tanto da far tremare l’aria e la terra sotto i piedi. Roba da spezzare il respiro. Ecco la storia del mondo e quella nostra individuale che si toccano.
Forse non ce ne rendiamo conto, ma quel vento potrebbe tornare: in America c’è un presidente nero capace di nuovo di usare grandi parole. C’è Francesco, un Papa che chiede, pretende pace e giustizia sociale. Ci sono state le primavere arabe, pur se piene di incognite e di insidie, come allora quelle dell’Est. E c’è in Iran un nuovo leader che ha aperto uno spiraglio.
Non bisogna nascondersi le difficoltà e le differenze: allora c’era un muro da abbattere. Oggi le barriere sono invisibili, ma ugualmente complesse da scalfire. C’è la divisione tra povertà e sfacciata ricchezza, invece del comunismo abbiamo un capitalismo quasi altrettanto disumano. Ci sono religioni e culture separate da abissi. Se allora crollavano le ideologie, oggi si sono sgretolati perfino gli ideali.
Forse, però, siamo davvero alla vigilia di qualcosa di grande. I bambini, le donne e gli uomini sul barcone portavano anche questo messaggio a noi aggrappati alla riva: guardate all’orizzonte. Non solo per paura.