Dopo l’uscita dell’intervista di Scalfari a Bergoglio, che fa seguito a un sorprendente scambio epistolare tra il Pontefice e il fondatore di “Repubblica”, mi pare opportuno tentare una riflessione filosofica almeno un poco articolata sul loro confronto. Per ragioni di lunghezza (si tratta pur sempre di ragionamenti difficilmente ‘comprimibili’) ho deciso di scorporare il mio intervento in quatto diversi articoli, che usciranno con cadenza giornaliera. Ecco il quarto (questi gli interventi precedenti: I, II, III).
Ma torniamo finalmente a Scalfari, “un non credente che è da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth” ‒ stando a come il giornalista presenta se stesso. Dopodiché aggiunge: “Ho una cultura illuminista e non cerco Dio”. Ma non è questo il punto della questione. Da un punto di vista metafisico, infatti, non sono affatto la fede o la ‘ricerca’ di Dio a connotare il cristiano. La presunta ‘cultura illuminista’ di cui parla Scalfari è invero molto più cristiana di quanto apparentemente voglia sembrare. Se il Cristianesimo è quello di Bergoglio, fondato sull’obbedienza alla propria coscienza, dunque su di una prassi che ha come principio l’autocoscienza del soggetto rappresentante, bisogna anzi ammettere che, in quanto entrambe filosofie della soggettività, Cristianesimo e illuminismo coincidono: condividono cioè la stessa posizione metafisica fondamentale.
Con un tono che nelle intenzioni vorrebbe forse apparire paradossale, Scalfari afferma: “ai non credenti come me Francesco piace molto, anzi moltissimo”. La vicinanza a Papa Francesco è data da un’evidenza semplicissima quanto insospettata. Se Francesco “piace molto” al fondatore di Repubblica, infatti, è perché sia il Pontefice cristiano che il giornalista ‘illuminista’, pur senza saperlo, credono invero nella stessa cosa: l’autocoscienza trascendentale del soggetto come fondamento dell’agire e dell’essere. Altresì detto, nello spazio apertosi dopo il tramonto della teologia politica, ‘illuminismo’ e cattolicesimo, pensiero religioso e secolarizzazione, s’incontrano su di uno stesso terreno, quello del soggetto quale fondamento dell’esperienza umana nel suo complesso: un Cristianesimo neutralizzato che si è definitivamente trasformato in antropologia pragmatica.
Non è un caso, peraltro, che Scalfari presenti il seguente ragionamento, la cui cifra è espressamente umanistica: “penso anche che con la scomparsa della nostra specie scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio e che quindi, quando la nostra specie scomparirà, allora scomparirà anche Dio perché nessuno sarà più in grado di pensarlo”. Solo all’interno di un paradigma irrimediabilmente antropologico è possibile identificare il pensiero con l’attività di un soggetto, in questo caso quello umano.
Chi può dimostrare che il pensiero debba necessariamente identificarsi con il pensiero dell’uomo? In Spinoza, ad esempio, il pensiero è un attributo della sostanza, non certo della ‘mente’ o del ‘soggetto’. L’affermazione di Scalfari tradisce pertanto una vera e propria ideologia della coscienza che, del tutto insondata nei suoi presupposti, trasforma quella che vorrebbe essere la posizione di un non credente in un’accanita forma di credenza, la quale concepisce ogni possibile esperienza a partire dall’autocoscienza del soggetto certo di se stesso e dunque ritenuto capace di pensiero. Per concludere, circa la posizione espressa da Scalfari risulta quanto mai appropriata la seguente affermazione heideggeriana: “La cultura dell’età moderna è cristiana anche là dove diviene non credente”, o s’illude di esserlo.
Sulla presunta interdipendenza tra pensiero e soggetto pensante, la risposta di Bergoglio è senz’altro meno ingenua e speculativamente non priva di raffinatezza (era questo, peraltro, il secondo punto cui facevo riferimento nel mio secondo articolo, accennando ai momenti più alti della sua missiva).
Scrive il Pontefice: “Dio […] non è un’idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell’uomo […] Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero”. Ora, quest’affermazione può ricevere il suo senso all’interno di due soli paradigmi: quello teologico-politico, di cui però lo stesso Papa ha già implicitamente decretato il superamento, o quello, il cui ambito non viene nemmeno sfiorato ‒ né da Francesco né tantomeno da Scalfari ‒, che potremmo con buona approssimazione raggruppare sotto l’etichetta (forse fuorviante ma sufficientemente icastica) di nichilismo europeo (nella sua versione attiva, per riprendere ancora una volta Nietzsche).
E mi riferisco al pensiero di chi rimane sostanzialmente indifferente innanzi alla figura di Cristo, di chi non crede né in Dio né nell’uomo ‒ non nella ragione cartesiano-illuministica e nemmeno in alcun fondamento trascendente.
Troppo a lungo si è ritenuto legittimo liquidare questo pensiero poiché refrattario alla costruzione di qualsivoglia sistema etico, additandogli l’equivoco di una negatività assoluta il cui esito ultimo finirebbe coll’essere soltanto l’inevitabile soppressione di se stessa. Non è così: esiste una filosofia capace di coniugare vita ed immanenza, capace cioè di pensare l’inesausta proliferazione dei fenomeni alla luce di quella che potrebbe essere definita un’inedita cosmologia irrationalis di matrice essenzialmente trascendentale ‒ dunque senza ricorrere ad alcun dispositivo teologico né far leva sulla moderna metafisica della soggettività.
Gli esempi a riguardo potrebbero essere molteplici. Mi limito a qualche nome: Anassimandro, Eraclito, Aristotele (se opportunamente emendato, e penso soprattutto alla Fisica), Giordano Bruno, Spinoza, Nietzsche, Simondon, Deleuze e ‒ nella mia lettura ‒ il pensiero del secondo Heidegger o di Eugen Fink.
Con riferimento all’affermazione di Bergoglio, direi che la posta in gioco è la seguente: ridefinire il rapporto tra pensiero e cosmo alla luce del fatto che il pensiero non proviene dall’uomo e non è affatto una prerogativa specifica della sua presunta soggettività. Si tratta cioè di concepire un pensiero inassegnabile, impersonale ed al contempo assolutamente concreto poiché immediatamente innervato nelle fibre del mondo ‒ di un cosmo che dev’essere pertanto riconosciuto come insieme materiale e trascendentale. Se davvero intendono interrogare il momento anticristiano che inquieta la tradizione occidentale, i due papi, tralasciando la contrapposizione ‒ del tutto inconsistente ‒ tra illuminismo e Cristianesimo, dovrebbero invece osare un effettivo confronto con il nichilismo attivo dell’alternativa cosmologico-trascendentale. Peccato non essere Scalfari: ci sarebbe altrimenti il rischio che qualcuno risponda.