Parla di costi della politica e di casta Pietro Grasso, ospite del festival di Internazionale a Ferrara. Ma cade sull’abc dell’anticasta. Alla domanda su quanto dovrebbe guadagnare un parlamentare, il presidente del Senato si limita a un laconico “quel tanto che basta per renderlo indipendente”. Incalzato su una cifra precisa, ribatte “tra i 5mila e i 7mila euro”. Quanto basta per far rumoreggiare il pubblico di centinaia di persone accorso per l’incontro “La democrazia e il potere”. E lui, invitato speciale, allarga le braccia: “ci sono dirigenti d’azienda che percepiscono anche 30mila euro al mese”. Nessuna volontà di “difendere una categoria” assicura il numero uno di Palazzo Madama, solo il riconoscimento del “mio tenore di vita medio” che “mi permette di essere indipendente”. Ma sa quanto prende un parlamentare? “L’indennità base è di circa 5mila euro, poi ci sono i vari compensi che portano lo stipendio a 9mila, ma bisogna contare che un po’ vanno al partito, un po’ ai portaborse…”.

L’intervista però, condotta dai giornalisti delle testate straniere di New York Times, Financial Times e Die Tageszeitung, ha riguardato numerosi argomenti. A cominciare dal ricordo del naufragio a Lampedusa, che “è un tema non solo italiano, bensì un dramma che interpella l’intera Europa”. Con l’aggravante per il la nostra Penisola che “chi arriva in Italia viene indagato per immigrazione clandestina. Ne scaturisce l’inumana conseguenza che vede oggi indagate dalla procura di Agrigento le 155 persone sopravvissute”. E se “è indubbio che modifiche alla legge sull’immigrazione vadano fatte”, mantenendo “l’aspetto penale per chi sfrutta il fenomeno in chiave di schiavitù”, Grasso ricorda che “i morti di Lampedusa fanno notizia e suscitano emozione, ma non dimentichiamoci che ci sono due milioni di persone sulla coste dell’Africa pronte a fare il grande salto. Lampedusa è un confine dell’Europa e deve essere un problema dell’Europa”.

Anche perché l’Italia di problemi ne vanta a iosa. E a lui, per 43 anni magistrato della Repubblica, non si poteva non chiedere un pensiero sulla riforma della giustizia. “Purché si metta sul tappeto la vera riforma della giustizia e non brandelli di questa”. Per brandelli il Presidente intende “la legge sulle intercettazioni o la separazione delle carriere dei magistrati o l’obbligatorietà della legge penale”. Il vero problema “è la lentezza atavica dei processi. Basterebbe come prima cosa modificare il sistema della notifica degli atti giudiziari”. Un aneddoto serve più di mille spiegazioni: “un giorno Buscetta mi confidò che riuscì a sfuggire a una condanna in uno dei suoi processi ‘giovanili’ per un cambio di toponomastica. Grazie al rinvio per difetto di notifica usufruì della prescrizione”. Prescrizione che le ultime leggi in materia “hanno ulteriormente accorciato senza togliere quei paletti che davvero bloccano la giustizia”. Ecco allora la proposta, già applicata in numerosi sistemi giuridici occidentali: “spostare la prescrizione all’inizio del processo”. Ma il problema è a monte: “quanti vogliono una giustizia che funzioni? Di certo non i poveracci non possono permettersi un buon avvocato”. Anche i tre gradi di giudizio, con ricorsi, revisioni et similia, possono essere aggiustati: “La Corte Suprema degli Stati Uniti viene interpellata 15 volte in un anno; la Corte Costituzione 5 milioni di volte. Ovvio che qualche riforma, mantenendo le garanzie costituzionali, va fatta”.

Su una cosa Grasso non ha dubbi: “l’indipendenza totale del potere giudiziario da quello esecutivo è una risorsa e non un problema, è un bene collettivo”. In Italia “il problema è etico. In Germania un ministro che ha copiato una parte di tema di laurea si dimette, in Inghilterra un ministro che non ha versato tutti i contributi alla colf si dimette. Quante dimissioni abbiamo in Italia?”. Non serve risposta. L’argomento è utile ai suoi intervistatori per pescare nel caso della settimana, la notizia del via libera alla decadenza di Berlusconi. “Non devo ritenerla una buona o una cattiva notizia, è semplicemente la conferma del principio di legalità. È la riprova che vengono applicate le regole che governano la nostra comunità. E non è il primo esempio che vediamo, penso a Previti o a De Gregorio, casi che hanno fatto meno clamore a conferma che qui il problema è personalizzato al massimo”.

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