Una ribalta politico-mediatica così, Roberto Formigoni non se la gustava da tempo. Dichiarazioni di qua, interviste a favore di, telecamera di là. Passo sicuro in Transatlantico, sorrisi soddisfatti. Proprio nei giorni della sconfitta di Silvio Berlusconi. I due, del resto, non si sono mai amati troppo e ora l’ex governatore della Lombardia si prende una piccola rivincita per certe passate delusioni. Una rivincita dal gusto effimero, però. Perché la nuova ribalta non cancella i guai giudiziari del Celeste. Imputato a Milano per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, il suo destino rischia di seguire un giorno o l’altro quello del capo quasi ex, vicino a diventare senatore decaduto.
Tra i primi a uscire allo scoperto, alla vigilia del voto di fiducia Formigoni annuncia che lui sì, voterà per Letta: “Spero che il partito sia compatto su questo fronte così da garantire la stabilità necessaria al Paese e la nascita di provvedimenti anti-crisi”. E il mattino dopo, quando ancora nessuno si aspetta la giravolta di Berlusconi, garantisce: “Siamo già in 25 ed è possibile che altri si aggiungano. Nel pomeriggio daremo vita a un gruppo autonomo”. C’è già un nome? “Io proporrò i Popolari”, risponde soddisfatto Formigoni.
E quando il Pdl vota a sorpresa la fiducia, lui subito in un tweet: “Qualcuno ci chiamava traditori? Mi sembra che siamo stati lungimiranti pionieri”. E poi il resto della giornata a disquisire di numeri: “Siamo partiti con 25 senatori e 25 deputati. Ora siamo più di 70”. E a prevedere le caratteristiche di una nuova forza politica: “Abbiamo intenzione di far parte di un partito solo se democratico, basta con le liste e con i coordinatori imposti dall’alto, si faranno le primarie”. Progetto sospeso, annuncia però il giorno dopo. Già, “abbiamo trovato un Berlusconi dialogante”.
I battibecchi televisivi con falchi e pitonesse per il momento sono lasciati alle spalle. E così pure lo screzio con il Cavaliere. Giusto l’ultimo, perché per anni Formigoni ha dominato in Lombardia, senza mai riuscire a spiccare un volo lungo quanto avrebbe desiderato per Roma. In Parlamento c’era già stato da democristiano nel secolo scorso, prima di salire al Pirellone. Poi c’è tornato nel 2006 e nel 2008. Per poche settimane, però: tra Roma e Milano, vista l’incompatibilità degli incarichi, ha scelto tutte due le volte Milano.
Troppo risicata la sconfitta di Berlusconi alle politiche del 2006 per pensare di contendergli la leadership a Roma con l’appoggio di Comunione e liberazione. Mentre due anni dopo ha sperato di entrare nel governo, magari come ministro degli Esteri o della Salute, lui così interessato alla sanità e al business che ci gira intorno. Il suo nome circolava pure per la presidenza del Senato, ma non se n’è fatto nulla: Berlusconi non l’ha scelto e lui se n’è tornato al Pirellone.
Più che amore, frizioni dunque. Anche prima delle ultime elezioni. Dopo gli scandali lombardi, la Lega fa cadere la giunta di Formigoni. Lui giura: “Mai più col Carroccio, nessun appoggio a Maroni governatore”. Ma il Cavaliere non la pensa così. Il Celeste resiste, ribatte. E intanto lavora per tornare nella Capitale, ammicca a Scelta civica, ma poi si accorda con il Pdl: appoggio a Maroni in Lombardia e il suo nome è nella lista Pdl per il Senato. Lì diventa presidente della commissione Agricoltura. Un po’ in ombra all’inizio, ma i giorni della ribalta alla fine arrivano. Il Pdl si sfascia, Berlusconi china il capo e Formigoni sale sul palco. Fa niente se nemmeno una settimana fa a Milano è iniziata l’udienza preliminare per il caso Maugeri. L’imputato Formigoni nemmeno si è presentato. Berlusconi decade. Formigoni può aspettare ancora un po’.