Colpito, ma non stupito. Ormai è chiaro: in Sudamerica lo stupore è merce rara. Il funzionario del Ministero dell’Interno è un tipo alto, magro, distinto nella sua uniforme grigia da sudista. Confabula con la doganiera poi ci fa cenno di seguirlo nel suo ufficio “por favor”. Riprendiamo i bagagli che stavano già per essere imbarcati e lì, al suo cospetto, replichiamo la nostra storia, assicuriamo la nostra buona fede, raccontiamo del nostro giro del mondo contromano (più contromano di così…), insistiamo sulla necessità assoluta di essere a Buenos Aires entro quella sera per recuperare l’auto fatta imbarcare a Lisbona. Il funzionario ci lascia parlare senza aprire bocca, poi, finalmente, parla lui. Ci spiega che arrivare a Buenos Aires in giornata non è più possibile, visto che l’ultimo traghetto è appena salpato, come noi stessi possiamo constatare. Scosta le tende e dalla finestra dell’ufficio vediamo quella che doveva essere la nostra nave inoltrarsi per il Rio de la Plata.
Ma questo è il meno, prosegue. Entrare in Uruguay senza visto d’ingresso è stata una grave leggerezza. Vedrà quello che può fare per noi. Ma intanto dobbiamo passare la notte all’Hotel Sol, a due passi dalla stazione marittima e non dobbiamo muoverci di lì finché non ci verranno a prendere l’indomani mattina. “Chi ci viene a prendere?”, chiediamo. “Non preoccupatevi, qualcuno verrà” risponde. Forse voleva essere rassicurante, ma non gli è riuscito troppo bene.
Quando arriviamo trafelati all’ingresso della zona portuale ormai il sole è ormai al tramonto (foto 3), poca gente in giro, e nessuno sa dirci niente del cargo MANO PODEROSA battente bandiera panamense.
Altri tre quarti d’ora di taxi per arrivare al barrio Palermo, dove ci sta aspettando il padrone dell’appartamento. Con il buio Buenos Aires è più viva e sterminata che mai, folla a passeggio, enormi viali che scorrono come fiumi, insegne illuminate in spagnolo ma anche in italiano; e questo nonostante il taxista non smetta di metterci in guardia su quanto sia pericolosa città, e di prendersela con la politica peronista della presidentessa Cristina. Inflazione, pesos in caduta libera, disoccupazione alle stelle e frontiere aperte a tutti i desperados dell’America Latina. “Povera Argentina!” Sembra di ascoltare Borghezio, ma siamo troppo preoccupati per contraddirlo. Ci fermiamo quasi alla fine dell’interminabile Avenida de Santa Fe. Il padrone di casa, evidentemente sul chi vive per via dei nostri ritardi, è sulla soglia del palazzo che ci aspetta, e ci saluta in italiano. “Complimenti, parla bene la nostra lingua” “Certo, sono italiano anch’io. Piacere, Mario.”
(13- continua)