Aveva 4 mesi il mio piccolo quando ho scoperto il metodo per avvicinare i bambini alla musica ideato da un grande jazzista Edwin E. Gordon. Uno che ha suonato con la band di Gene Krupa prima di dedicarsi allo studio e all’insegnamento.
Mi aggiravo con mio figlio per le strade di una città che conoscevo poco. Per la maggior parte del tempo eravamo soli. Le notti e i giorni mi si confondevano in una specie di torpore in cui il sonno non era proprio sonno e la veglia non era proprio veglia. Alla gioia smisurata di una vita nuova accanto a lui si mescolava la fatica, la paura. Un rimbalzare ossessivo verso pensieri legati ai bisogni primari: il latte, la popó, la nanna.
Per certi aspetti un vero abbrutimento delle facoltà della mente a cui gli ormoni o chissà cos’altro costringono molte neomamme. Sul bancone di una libreria un semplice volantino e poi il primo incontro.
La stanza era vuota e inaspettatamente luminosa. Le mamme sedevano in cerchio per terra, ognuna con il suo bambino. Federica, la maestra, ci ha sorriso e con il diapason ha cercato la nota. Poi ha intonato un canto strano. Solo la sua voce e poi silenzio. Poi ancora musica, poi silenzio. Ho avuto paura che il pianto della mia piccola bomba a orologeria rovinasse tutto. Ho avuto paura di mettermi a piangere per la meraviglia e la potenza con cui la musica può toccarci nel profondo. Incredibilmente tutti i bebè rimanevano immobili, concentrati – ho scoperto poi – come mai più nella vita: totalmente catturati dal suono, da quella voce che cantava per loro. È stato come ritrovare qualcosa che avevo perso. Abbandonare per un po’ la fisiologia e le paure per godere dei momenti irripetibili con il mio bambino.
Un lavoro controcorrente quello di Federica: un gioco a togliere in un mondo sempre troppo pieno. Un invito ad ascoltare, a stare. Una piccola oasi dove c’è tempo, dove l’ansia può restare per un poco fuori della porta. Ben di più che un corso di musica: un segno di come si possono capovolgere le priorità in un momento della vita in cui il modo di instaurare la relazione lascerà segni nel futuro.
il Fatto Quotidiano del Lunedì, 30 Settembre 2013