L’articolo che ho scritto recentemente a commento del default di cassa degli Stati Uniti (e altri che lo hanno preceduto), ha dato vita a numerosi commenti dei lettori, ritengo perciò opportuno tornare sull’argomento per fare le opportune distinzioni.

Per prima cosa bisogna separare la problematica dell’entità del debito da quella del “tetto” sul debito.

Il debito pubblico è non solo utile ma necessario ai governi per temperare e fluidificare i flussi di cassa, serve inoltre, normalmente, ad offrire ai risparmiatori un investimento diversificativo sicuro, quantunque generalmente meno remunerativo di altri.

Per essere “sicuro” il debito deve avere caratteristiche di tranquilla solvibilità. Quindi non deve superare certi parametri di grandezza e di capacità di rimborso.

Per fare un esempio classico: nei mutui per l’acquisto di una casa la banca generalmente considera tranquillo un mutuo che non superi il 70% del valore di mercato della casa, a condizione che la somma delle rate di rimborso che scadono in un anno non superino il 30% del reddito netto annuo del richiedente.

Il parametro del 70% considera prudenzialmente l’ipotesi che la casa perda immediatamente di valore e che il debitore non paghi nemmeno una rata. In questo caso la banca ha normalmente tempo e spazio finanziario sufficiente per procedere all’evizione forzosa dell’immobile per recuperare il denaro prestato.

Il parametro del 30% sul reddito si basa invece sull’ipotesi che il richiedente non possa rinunciare a più del 30% del suo reddito per destinarlo al rimborso del mutuo, essendo tutto il resto necessario al suo personale sostentamento.

Entrambi questi parametri (specialmente il secondo) sono fatti per adattarsi in linea generale a chiunque. E’ evidente però che un’analisi personalizzata potrebbe indicare parametri altrettanto validi benché diversi.

Anche nel caso del debito pubblico dovrebbe valere la stessa considerazione. Quindi dire che il parametro migliore di entità del debito sul Pil è del 60% potrebbe essere utile come indicazione puramente indicativa, non può invece essere un parametro rigido da applicare ad ogni nazione.

Il debito degli Stati è sottoscritto generalmente da risparmiatori, fondi pensioni, ecc. Questi soggetti non guardano se lo Stato ha un debito del 60% o del 120%, guardano il tasso di rendimento e la (presunta) solvibilità, cioè la volontà di rispettare i rimborsi alle scadenze pattuite, e la tranquillità dell’ambiente sociale. Se i rimborsi avvengono con regolarità e la situazione sociale è tranquilla si accontentano anche di rendimenti molto bassi. Se invece avviene qualcosa che li mette in allarme, subito essi sposteranno il risparmio altrove, o chiederanno un maggiore rendimento.

E cosa c’è, per un investitore, di più allarmistico di un paese che chiude la cassa perché non ha nemmeno i soldi per pagare i suoi dipendenti? (Cioè esattamente quello che è avvenuto negli Usa lo scorso 1 ottobre).

C’è però molta differenza tra il default di cassa e quello sul debito, e questo spiega il perchè, per ora almeno, non c’è allarme nei mercati.

Lo scoperto di cassa (il default) è un deficit che potrebbe essere puramente temporaneo, dovuto cioè ai flussi irregolari tra le entrate e le uscite di cassa. In questo caso basta ottenere un prestito (cioè un debito temporaneo) e il problema è immediatamente risolto.

Se però il legislatore ha messo un tetto rigido al debito, e quel tetto è già raggiunto, la cassa non può ottenere ulteriori prestiti e deve per forza chiudere, mandando via i creditori.

Nel caso verificatosi negli Usa il 1 ottobre i creditori erano dei fornitori e dei dipendenti dello stessa nazione americana, un problema grave per gli americani, ma pià di immagine che di reale natura finanziaria. Un problema che perciò non ha preoccupato il mercato finanziario: c’era ampia fiducia che il problema sarebbe stato presto risolto.

Diverso è il problema che si potrebbe configurare tra una decina di giorni, quando il deficit di cassa, bloccato dal tetto sul debito, impedirebbe di pagare gli interessi sul debito stesso.  In questo caso non ci sarebbero più solo fornitori e dipendenti dello Stato tra i creditori (cioè un problema in famiglia), ma risparmiatori sparsi in tutto il mondo che si sentirebbero dire dall’America: “scusa, al momento non ho i soldi, passa un altro giorno”.

Questo caso è molto più grave di quello descritto sopra. Tutto il mercato finanziario, anche quello meno dubbioso sulla solvibilità degli Usa, si troverebbe comunque costretto a posizionarsi su una linea difensiva e prudenziale, perché al mondo non c’è solo l’America a fare finanza, ormai la finanza è globale. Tutti i listini si posizionerebbero al ribasso. Gli speculatori fiuterebbero il momento opportuno per avviare operazioni short (ribassiste) che, se non frenate da interventi adeguati delle autorità di borsa, diventerebbero subito massicce sia nel numero che negli importi, grazie anche all’utilizzo dei velocissimi super-computers.  La curva al ribasso diventerebbe verticale e tutto il mercato potrebbe entrare in un vortice di tensione e sofferenza, con fallimenti a catena proprio come abbiamo già visto nel 2008, quando i mutui subprime americani agirono da detonatore sulla mina vagante dei derivati.

Stavolta sarebbe anche peggio, come ho giò spiegato nel mio articolo precedente.  

Non è tanto il debito Americano a far paura (benché 16 trilioni di dollari non siano noccioline) ma è la quantità (100 volte superiore) di tutta la massa dei derivati finanziari che naviga sostanzialmente incontrollata in giro per tutto il mondo a far veramente paura. Quello è un incendio che, se dovesse scoppiare, scatenerebbe un disastro immane!

Tutto per uno stupido “tetto” al debito?  Proprio cosi!

Difficile però credere che oggigiorno usino davvero quello strumento solo allo scopo di tenere sotto controllo i debiti degli Stati.

Il “tetto” al debito è di fatto un banalissimo “pallottoliere”. Il pallottoliere lo usavano una volta negli asili infantili per insegnare ai piccini a far di conto. Ormai non lo usano più nemmeno lì.

Con gli strumenti e le competenze tecniche che ci sono oggi, se usano il banalissimo “tetto” è perché hanno altri scopi. Tuttavia non è interesse di nessuno (salvo qualche speculatore) scatenare il disastro, quindi potete scommetterci: alzeranno il limite, ma il tetto lo lasceranno là a fare il suo vero lavoro!

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