A leggere i bilanci si stenta quasi a credere che le aziende del Polo Biomedicale di Mirandola siano le stesse che poco più di un anno fa guardavano i propri macchinari schiacciati dalle macerie dei capannoni, crollati in seguito alla furia di un terremoto da 13 miliardi di danni. Da quel maggio del 2012, quando il 20 e il 29 la terra sussultò così forte da devastare, solo nel modenese, un’area di 967 chilometri quadrati, sono passati 17 mesi, eppure oggi in molte delle 62 aziende che producono dispositivi medici nell’Area Nord si lavora quasi a pieno ritmo. Come se il comparto, eccellenza europea, non avesse subito il blocco quasi totale della produzione a causa dei fenomeni sismici, che complessivamente provocarono lo stop del 95% di tutte le attività distruggendo fabbricati come fossero palazzi di carta. E invece, dalle multinazionali alle piccole e medie imprese, i macchinari sono tornati in funzione e la produzione si sta lentamente avviando a superare lo spartiacque nero di segno ‘meno’ generato dalla crisi subentrata alla recessione economica.

“Fortunatamente il Biomedicale ha ripreso a lavorare – racconta Maria Nora Gorni, titolare della Rimos e presidente di Consobiomed, società di servizi per il settore biomedicale – possiamo dire che il periodo peggiore è passato. Oggi molte aziende hanno ripreso a lavorare, e sebbene i dati non siano quelli del periodo pre terremoto gli stabilimenti sono ripartiti, il che è significativo”. Rimos, che il 9 giugno scorso ha inaugurato la propria sede appena ricostruita, per esempio, quest’anno chiuderà con un fatturato in crescita del 10%. “Ci siamo salvati grazie all’export – continua Gorni – altrimenti, basandoci esclusivamente sul mercato italiano sarebbe stata dura”.

Anche perché nel Polo Biomedicale di Mirandola dei rimborsi stanziati dallo Stato non si è ancora visto un euro. “Noi abbiamo ricostruito grazie ai contributi assicurativi – conferma la presidente di Consobiomed – dalla Regione non abbiamo avuto risposta, e chi ce l’ha fatta ha ripreso a produrre grazie alle assicurazioni o a una liquidità pregressa”.

Stesso discorso per Gambro, leader mondiale nella realizzazione di prodotti e terapie per la dialisi renale ed epatica, del danno renale da mieloma e altre terapie extracorporee per pazienti acuti e cronici. “La nostra è stata una ripresa graduale – racconta Biagio Oppi, responsabile comunicazione della Gambro – il terremoto ha danneggiato l’80% del nostro stabilimento ma in un paio di mesi siamo riusciti a ripartire, trasferendo le nostre attività in sedi temporanee dislocate entro 30 chilometri da Medolla”. Gambro 2, a Crevalcore, dove oggi si producono i macchinari per la dialisi e dove lavorano 200 dipendenti, con una produzione che da un anno a questa parte ha raggiunto il 110%, “superando persino la soglia pre sisma”, Gambro 3, a Poggio Rusco, in provincia di Mantova, sede temporanea del comparto dispositivi usa e getta, e il settore ricerca, delocalizzato a Modena. Una soluzione che ha consentito all’azienda di riassorbire quasi tutti i 500 lavoratori, su 670, che erano stati messi in cassa integrazione in seguito alla chiusura dello stabilimento provocata dal terremoto, continuando la produzione fino a che la nuova sede non sarà pronta, probabilmente entro la fine del 2014.

Noi allo Stato i rimborsi non li abbiamo nemmeno chiesti – continua Oppi – anche perché l’assicurazione ti risarcisce per ciò che hai perso adattandosi alle tecnologie attuali, mentre la tariffazione regionale è molto inferiore ai costi reali”. Ma anche chi per i contributi ha presentato domanda è ancora in attesa. “Noi abbiamo partecipato al bando Inail e ad oggi non abbiamo ricevuto risposta dalla Regione – spiega Cosetta Cavicchi, direttore amministrativo della Intersurgical Spa, che produce presidi medico chirurgici – mi piacerebbe poter dire di vivere in uno Stato dove chi è in difficoltà riceve aiuto ma la verità è che ce la siamo dovuta cavare con le nostre sole forze, grazie anche al lavoro dei nostri dipendenti”. Crollata tutta la parte produttiva dello stabilimento, l’azienda è stata delocalizzata per un anno tra capannoni affittati nelle vicinanze, tende e container, e gli unici fondi a cui ha avuto accesso sono stati quelli assicurativi. “Oggi lavoriamo, anche se la produzione è inferiore rispetto agli anni passati. Ma non è solo una questione legata al terremoto: la spending review è stata un colpo duro, e il mercato, in Italia, non è facile”.

Uno dei problemi più gravosi per il comparto Biomedicale è quello relativo ai tempi tecnici che la pubblica amministrazione impiega per effettuare i pagamenti alle aziende creditrici. “Il nostro settore – conferma Oppi – lavora principalmente con il sistema sanitario nazionale, e generalmente veniamo pagati con un ritardo medio di 300 giorni”. Il che ovviamente, se danneggia le multinazionali, può arrivare a bloccare le piccole e medie imprese. “Una multinazionale – spiega il responsabile comunicazione della Gambro – riesce a compensare con l’export, perché all’estero ritardi simili sono inconcepibili. Ma le realtà di dimensioni minori, dipendenti dallo Stato, ne risentono”.

“Troppo a lungo si è ricorsi alla giustificazione che gli emiliani sono intraprendenti – conclude Cavicchi – la verità è che siamo stati dimenticati, e per questo siamo avviliti. Abbiamo ripreso a produrre, e soprattutto siamo rimasti qui, ma lo Stato dovrebbe ricordare che noi aziende diamo lavoro a tante persone e che non possiamo essere lasciate sole in questo modo”.

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