È stato un po’ il mantra delle ultime settimane: Roma sta peggio di Madrid. I venti della crisi politica hanno fatto azzerare lo spread tra i due Paesi e la Spagna è ora messa meglio dell’Italia per quanto riguarda il rendimento dei titoli pubblici decennali. Eppure, leggendo i dati appena pubblicati dal Banco di Spagna e dall’Ine, l’Istituto di statistica iberico, la ripresa spagnola non sembra proprio alle porte.
La disoccupazione è aumentata di 25.572 persone a settembre, anche per la fine della stagione turistica, invertendo il trend al ribasso degli ultimi sei mesi. Senza contare che la popolazione iberica si è ridotta di 113.902 persone nel 2012, un 0,2% che ha segnato il primo andamento demografico negativo dal 1971. Il numero degli immigrati è diminuito del 2,3%, oltre 5 milioni in meno. E si contano già quasi 2 milioni di spagnoli all’estero, secondo l’Ine, il 6% in più rispetto all’anno scorso.
Ma non basta: nel trimestre aprile-giugno – e qui arrivano i dati della Banca di Spagna – per la prima volta da dieci anni a questa parte, le rimesse dall’estero verso il Paese iberico hanno superato quelle che da Madrid finivano nelle casse degli istituti di credito stranieri. In sostanza i soldi inviati a casa da chi lavora all’estero sono di più di quelli che gli immigrati in terra iberica mandano a familiari e parenti che vivono fuori, soprattutto oltreoceano. Dal 2004, in pieno boom economico, e ininterrottamente fino ad oggi, milioni di euro sono partiti dalla Spagna verso altre destinazioni. Un record si è registrato nel 2007, con 8,5 miliardi. Tempi lontani, anzi lontanissimi.
Con lo scoppio della bolla immobiliare la disoccupazione ha registrato la cifra record di 6 milioni, il 27% della popolazione attiva, e i soldi che molti immigrati, impiegati soprattutto nel settore delle costruzioni, inviavano ai Paesi d’origine hanno subito una forte contrazione. Nel 2012 il divario tra entrate e uscite è stato poco più di 1 miliardo. Ma adesso la forbice, nel secondo trimestre 2013, si è addirittura invertita: 1,59 miliardi di euro in entrata contro 1,56 in uscita. Come a dire che molti soldi che girano a Madrid arrivano direttamente da chi li guadagna fuori dal Paese.
Gli spagnoli d’altronde si trasferiscono sempre più all’estero per guadagnarsi da vivere, e da li mandano denaro alle famiglie rimaste a casa. A differenza di quello che accadeva negli anni Sessanta, però, non sono più muratori e manovali a emigrare, bensì tecnici qualificati. E soprattutto giovani con una o più lauree in tasca, che ormai non riescono nemmeno a sfruttare le cosiddette “bolsas de trabajo” (borse per l’impiego) per entrare nel mercato del lavoro.
Insomma se in quanto a spread Madrid fa un passo avanti rispetto all’Italia, non è certo perché l’economia spagnola è tornata a girare. Da una parte ci sono le riforme “lacrime e sangue” del governo di Mariano Rajoy, dall’altra c’è stato l’aiuto dell’Unione europea alle banche. Infine gli scambi commerciali con il Sud America, con un export che tira. I grandi colossi come Repsol, Iberdrola, Inditex o Telefonica, protagonisti nei mercati globali, aiutano poi il Paese a sopravvivere a una crisi che continua a essere forte e che allontana, giorno dopo giorno, Madrid dall’epoca d’oro del mattone.
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