“Nella vita, ognuno deve trovare il suo canale. Io l’ho trovato con internet”. Mario chiude la mano a pugno e alza il pollice in segno di approvazione, poi inghiotte un’altra forchettata di pasta coi broccoli. La nostra prima sera a Buenos Aires è molto italiana; per farci perdonare del ritardo abbiamo invitato a cena il nostro padrone di casa dopo avere fatto la spesa al Carrefour di fronte a noi (c’è da attraversare un’autostrada a otto corsie, ma è comunque di fronte) e lui ha favorito, anche perché è uno scapolone, e vive due piani sotto di noi.
Mentre fa onore alla pasta coi broccoli, storico cavallo di battaglia di Pietro ci racconta la sua storia di quarantenne felicemente espatriato: lavorava a Milano nel marketing informatico, un buono stipendio, ma nella città non si trovava bene. “Troppo difficile conoscere gente. Soprattutto ragazze”. Poi la svolta, grazie alla scoperta del “suo canale”. Ancora a Milano, grazie a internet aveva affittato a settimane il suo primo appartamento, ed era così riuscito a estinguere il mutuo per comprarlo. E grazie a internet ha capito che il suo destino era il Sudamerica, e soprattutto le sudamericane.
“La prima volta che sono andato in Brasile, a San Paolo; avevo conosciuto in chat sette donne diverse. Ovviamente ho detto a ognuna che ero venuto solo per conoscere lei. Alla sera del primo giorno mi ero già fidanzato con tutte e sette, non ci potevo credere, altro che le milanesi!”. Da allora non ha fatto che perfezionare il suo sistema; visitare un nuovo Paese dell’America Latina con una nuova fidanzata. Ci rallegriamo, e passiamo a raccontare le peripezie legate alla Rabmobile; la novità è che siamo riusciti a parlare con Pedro, che però è caduto dalle nuvole. Dice di non avere notizie dell’auto e ci ha consigliato di metterci in contatto con un certo Ramiro Lopez, rappresentante di don Miguel in Argentina, che si trova per il weekend in cittadina chiamata Tigre.
Ognuno deve trovare il suo canale: e infatti l’indomani siamo andati alla stazione del Retiro e dopo un’ora di treno (foto 1), attraversando le favelas che circondano Buenos Aires siamo arrivati tra i tanti canali del maestoso e intricatissimo delta del Rio de la Plata, dove si trova Tigre. Per la caccia al nostro uomo il cielo ci regala una giornata fredda ma soleggiata. Come a Venezia ci aspettano diversi battelli, alcuni di linea, altri turistici, per condurci alla scoperta del delta. Optiamo per un motoscafino-taxi a cui diamo l’indirizzo (foto 2).
Il paragone con Venezia crolla però alla prima curva del fiume: relitti semisommersi, a giudicare dalla ruggine abbandonati da tempo, palafitte cadenti, barconi carichi di ferraglia. La Villa Amarilla del sig. Lopez è più in là (foto 3), dove il paesaggio si fa più curato: qui ci sono le seconde case dei buenaresi ricchi che però, essendo il clima ancora invernale, se ne sono perlopiù restati a casa. Sbarchiamo.
Dal piccolo pontile alla porta c’è un prato all’inglese verdissimo che calpestiamo quasi intimoriti. Così ci coglie il sig. Lopez aprendo la porta; ci ha visti arrivare. Sì, certo, il Mano Poderosa è subito ripartito e della Rab lui personalmente non sa nulla, però l’indomani si potrà informare. Il cargo, comunque, non tornava in Portogallo ma prosegue per Panama, questo se lo ricorda, e poi oltre. Domani sarà senz’altro più preciso. Gli chiediamo, come ultima informazione, quanti giorni potrà metterci il cargo ad arrivare a Panama: circa dieci.
Durante il viaggio di ritorno ci interroghiamo sul da farsi, nel caso in cui la Rab sia rimasta sul cargo: rivedere tutti i nostri piani di viaggio, che prevedono la lenta risalita in macchina del Sudamerica, o lasciare che il cargo trasporti la Rab per tutto il Pacifico, fino in Oriente? E soprattutto: che ne è veramente della Rab? Mentre ci interroghiamo anche sulla buona fede di Pedro e proviamo a immaginare nuove mosse e itinerari, non sospettiamo quale altro nuvolone stia per abbattersi su di noi.
(14-continua)