La procura di Bari ha delegato ai Carabinieri del Nucleo Investigativo un supplemento di indagini, chiesto dalla difesa di Walter Lavitola, ex direttore dell'Avanti, sulle dichiarazioni (ritenute false) di Gianpaolo Tarantini nell’inchiesta escort portate a Palazzo Grazioli. Per l'accusa l'imprenditore sarebbe stato indotto a mentire
La procura di Bari ha avviato altre indagini sulle bugie dette da Gianpaolo Tarantini nell’inchiesta escort e pagate – secondo l’accusa – dall’allora premier Silvio Berlusconi. La procura ha delegato ai Carabinieri del Nucleo Investigativo un supplemento di indagini, chiesto dalla difesa di Walter Lavitola, ex direttore dell’Avanti. A causa dei nuovi accertamenti sono quindi destinati a slittare i tempi dell’eventuale richiesta di rinvio a giudizio per induzione a mentire per Berlusconi e Lavitola. La Procura aveva chiuso le indagini il 20 luglio scorso. Berlusconi si era fatto interrogare sostenendo di non sapere che le ragazze di Giampi fossero prostitute.
Per gli inquirenti l’ex presidente del Consiglio avrebbe pagato Tarantini grazie a Lavitola, perché mentisse agli inquirenti baresi che indagavano sulle escort. ”Io ho sempre avuto il piacere di dare a chi avesse bisogno – spiegava Berlusconi – per me una donazione di qualche migliaio di euro era assolutamente nulla”. Tarantini avrebbe ricevuto da Silvio Berlusconi 10mila euro al mese oltre a 500mila euro (ma soltanto la metà gli sarebbe stata consegnata) per avviare un’attività economica. Quei regali fatti a Tarantini, insomma, sarebbero stati soltanto ”beneficenza”, non soldi – come sostiene la pubblica accusa – necessari per comprare il suo silenzio. Oltre al denaro, pero’, l’imprenditore barese aspirava a entrare in contatto, tramite l’ex premier, con i vertici di Protezione Civile e Finmeccanica con cui poter fare affari. Un paio di settimane fa era emerso che agli atti dell’inchiesta mesi fa era stata depositata una informativa della Guardia di Finanza in cui emergevano le bugie dell’ex premier messe a confronto con intercettazioni e verbali.
Le nuove indagini si concentreranno su tre telefonate. Nell’interrogatorio reso agli inquirenti baresi, il 4 giugno 2012, Lavitola ha prodotto i tabulati telefonici della sua utenza argentina risalenti al 17 luglio 2011. Dai tabulati risulterebbero tre telefonate consecutive fatte alle 16.33, 16.37, 16.38 (rispettivamente 21.33, 21.37, 21.38 ora italiana) dal suo telefono argentino alla residenza di Arcore. Telefonate della durata di 2 minuti, 1 minuto e 9 minuti. Nell’ultima Lavitola – stando a quanto lui stesso ha dichiarato – avrebbe parlato con Berlusconi del ‘prestito’ da 500mila euro in favore di Tarantini. Telefonate delle quali – secondo la procura di Bari – “la polizia di Napoli che stava intercettando non trova traccia”. Di questi contatti si parla anche nell’interrogatorio di Berlusconi del 17 maggio 2013. In quella circostanza il procuratore aggiunto di Bari, Pasquale Drago, sottopone la questione all’ex premier chiedendogli conferma dell’esistenza di quelle telefonate e del loro contenuto. Lavitola ha persino inviato nei mesi scorsi una lettera al pm Drago chiedendogli di acquisire, visto che non risultano ai registri telefonici argentini, i tabulati di Arcore; “cosa che evidentemente io non posso fare – dice Drago a Berlusconi – se non fosse con l’autorizzazione del Senato, ma che comunque non posso fare essendomi scaduti i termini delle indagini preliminari”. Alla domanda l’ex premier risponde di “non avere memoria” ma di ritenere “ragionevole, probabile” di aver parlato di questo con Lavitola.
Il contenuto di quella telefonata – così come raccontato da Lavitola – dimostrerebbe che tra Berlusconi e l’ex direttore dell’Avanti c’era un vero e proprio accordo sui soldi da passare a Tarantini e che mai c’è stata estorsione (su cui ancora indaga la Procura di Roma) o induzione a mentire attraverso quel denaro. Al telefono, infatti, Lavitola avrebbe chiesto all’ex premier se consegnare a Tarantini quei 500mila euro e Berlusconi gli avrebbe risposto di aspettare che l’imprenditore barese si trasferisse all’estero, perché quel denaro doveva sostenere l’avvio di una nuova attività imprenditoriale.