I giovani italiani sono poco internazionali rispetto ai coetanei europei. Escono poco dall’Italia per studiare e la scuola italiana non li aiuta ad essere al passo con i “cugini” degli altri Stati. Ancora una volta nelle classifiche finiamo tra gli ultimi: il nostro indice di apertura all’estero si ferma a 27,5 punti a fronte di una media europea di 31,9; siamo battuti da polacchi, francesi, tedeschi, spagnoli e svedesi. A presentare questi dati sui quali varrebbe la pena aprire una riflessione nei nostri istituti è l’osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole, promosso dalla Fondazione Intercultura e dalla Fondazione Telecom Italia.

I numeri la dicono lunga: solo il 53% delle scuole italiane attiva almeno un’iniziativa per portare a studiare fuori dall’Italia i nostri ragazzi mentre in Germania sono il 97%. Il paradosso è che i nostri ragazzi ripongono nella scuola forti aspettative nel favorire una loro emancipazione internazionale: una richiesta che rimane nel libro dei sogni visto che sui banchi sono poche le occasioni per partire. Un vero e proprio rischio per le ultime generazioni che dovranno confrontarsi con giovani di altri Paesi che sanno più lingue, che ascoltano musica e vedono film in lingua originale (secondo l’osservatorio l’85% degli svedesi, il 52% dei tedeschi e il 44& dei polacchi mentre gli italiani sono il 27%) e che sono molto più competitivi dei nostri ragazzi.

Secondo la ricerca presentata sarebbero i genitori “chioccia” dei ragazzi italiani ad avere la maggiore responsabilità nell’essere fanalino di coda nella classifica dei viaggi all’estero. Il problema è che nei prossimi anni dovranno comunque uscire dai confini a fronte della crisi economica: ne sono consapevoli i giovani italiani visto che l’89% ha dichiarato di essere favorevole ad un periodo di lavoro all’estero. Dall’altro canto chi siede sulla o dietro la cattedra sa che la parola crisi è entrata nel dizionario dei nostri ragazzi. I miei alunni già alla scuola primaria mi dicono: “Maestro, noi sappiamo che dovremo andare all’estero a lavorare. A me piacerebbe restare qui, continuare il lavoro di mio padre in cascina ma da noi c’è la crisi”.

Non resta che preparare questi ragazzi ad uscire dai confini, ad essere europei, a conoscere le lingue, a saper viaggiare. La scuola italiana in questo ha un compito che dev’essere profetico: dobbiamo non solo guardare al domani ma al dopo-domani. I nostri alunni devono poter avere le stesse possibilità dei tedeschi, dei polacchi o dei francesi.

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