Terrorizzato da camici bianchi e siringhe, insicuro di chi è e di cosa può fare: sono queste le sensazioni più frequenti nel bambino colpito da grave malattia e costretto a un lungo ricovero in ospedale o alle cure a domicilio. Non funziona la trappola dell’iperprotezione. E neppure il pietismo. “La malattia non può essere un tabù per i più piccoli, nel senso che finché non capita non se ne parla – spiega Gloria Camurati, ex insegnante e fondatrice de “Il porto dei piccoli“, la onlus attiva nell’ospedale pediatrico Gaslini di Genova – Deve essere raccontata, come una favola, anche a scuola, o magari trasformarsi in un gioco, che tra l’altro serve a stimolare le parti sane del bambino degente”.
La onlus “Il porto dei piccoli” nasce nel 2005, conta uno staff di 30 persone, tra pedagogisti, attori, educatori, psicologi e biologi marini, e opera dentro e fuori l’ospedale, cioè nelle scuole e direttamente a casa del bambino in cura. Alleviare il dolore tra le mura ospedaliere quindi non basta. Il rischio di alienazione per il bambino, che è nel pieno della crescita emotiva e fisica, è sempre in agguato. Se ci sono le condizioni, quando cioè il paziente non è impedito a letto, lo spazio di evasione non va solo inventato e vissuto nella fantasia del pensiero, ma visto con gli occhi e toccato con mano: una gita fuori porta, una visita al celebre acquario del capoluogo ligure o un giro in nave sono alcuni degli esempi di viaggio che l’associazione organizza per i ricoverati dai 3 ai 18 anni. “Li portiamo fuori in barca, oltre che per osservare il mare, per scoprire le mansioni dell’equipaggio e il ruolo del comandante – dice Camurati – Oppure mostriamo loro il porto, come si manovra un muletto, le cabine di guardia, luoghi di solito non aperti al pubblico. Di recente siamo anche andati a vedere come funziona un’azienda che produce glicerina”.
L’invito è esteso anche alle famiglie. “Genitori, fratelli, nonni sradicati dalla propria città e trapiantati a Genova per stare vicino al piccolo – continua – sono smarriti, svogliati, non hanno interesse a distrarsi: una gita in mare serve a mantenere un contatto con la normalità”. Ogni esplorazione, pranzo incluso, è a costo zero per chi si rivolge alla onlus che, finanziata da privati, ha un bilancio di 400mila euro l’anno. Il progetto si chiama “Mare fuori” e coinvolge anche gli ospiti della Croce rossa di Genova e della Divisione di pediatria dell’ospedale San Paolo di Savona. Il “Mare dentro” invece è l’attività svolta dagli operatori nelle sale giochi, nelle stanze e nei day hospital dei vari reparti: laboratori ludico-didattici, spettacoli teatrali, lezioni di musica. “I bambini si divertono così tanto che quando vengono dimessi si mettono a piangere e vorrebbero restare. Vuol dire che l’obiettivo è stato raggiunto, cioè far dimenticare loro di essere in ospedale”, conferma Gian Marco Ghiggeri, responsabile dell’Unità operativa di nefrologia, dialisi e trapianto dell’Istituto Gaslini.
La metafora del mare come mezzo per non perdere se stessi arriva anche all’interno delle pareti domestiche per portare buon umore al bambino in convalescenza o gravemente malato. “Spesso seguiamo i bambini già incontrati in ospedale oppure grazie al nostro call center riceviamo nuovi contatti di aiuto”, spiega l’ex insegnante. Un’altra novità nel rapporto malattia, cura ospedaliera e infanzia è “Il messaggio in bottiglia”, un progetto che l’associazione dedica ai bambini sani delle scuole dell’infanzia, elementari e medie. Obiettivo: insegnare loro a non avere paura della malattia, di medici, medicine, punture e cliniche, superando i pregiudizi verso i coetanei che soffrono di particolari disturbi o che sono in terapia. Un percorso in cinque tappe e altrettanti laboratori: la costruzione di una favola, la recitazione teatrale, esercizi di musica e danza, un laboratorio di scienze e la trasformazione del materiale ospedaliero in oggetti utili o divertenti. E così la siringa diventa un burattino, la mascherina un pesce, l’abbassalingua un segnalibro. Il vocabolario medico si traduce nel linguaggio che esplora la fauna e flora del mare per bocca dei biologi marini. I guanti in lattice, per esempio, raffigurano la medusa. I fili dell’elettrocardiografo sono le alghe.
Non è finita. Gloria Camurati aggiunge: “Per sensibilizzare gli alunni ai coetanei in ospedale, facciamo realizzare ai bambini pannelli colorati e disegni che abbelliscano il reparto di Immunologia e medicina trasfusionale”. E conclude: “Non bisogna parlare di ‘bambino malato o diabetico’, ma di un bambino con una malattia, in questo caso il diabete. Altrimenti si assimila anche la parte sana al disagio che va chiamato fin da subito con il suo nome”. “Coso” è il protagonista del libro “Il porto dei piccoli” (Gallucci editore, 2013), che illustra il percorso dell’associazione in versione fiabesca. Giorgino, il vero nome del bambino, perde la sua identità e diventa “Coso” da quando è finito in fondo al mare a causa di una tempesta. Qui incontra il cavalluccio (il dottore), un pesce (l’amica) e una strega (la malattia). E al termine c’è un lieto fine.