Società dei trasporti che perdono milioni al minuto; società telefoniche che, nonostante il business redditizio, sono così fragili da essere scalabili; società energetiche che registrano cali record nei ricavi; società automobilistiche che crollano ormai da anni nelle vendite e nei ranking mondiali; il team di Formula Uno più ricco che precipita nelle classifiche… Il tutto mentre centinaia di aziende chiudono ogni giorno battenti strangolate da una competizione per loro inaffrontabile. Se ci aggiungiamo l’enorme crisi di capitalizzazione delle imprese all’indomani di un trentennio senza precedenti (accesso al credito facilitato, nuovi mercati globali, crescita della Borsa, sviluppo di nuove tecnologie), una domanda sorge spontanea: come mai siamo così somari?

Capita, a furia di non studiare. Anche se mentre dimostri che non sai gestire l’impresa non dovresti essere strapagato con denaro pubblico (ma anche privato, in termini valoriali non cambia molto). La cosa triste, tuttavia, è dover pure sentire la ricetta anti-crisi dai leader imprenditoriali: il problema è il Paese. Dateci un Paese normale che poi vi facciamo vedere noi. Un Paese normale ha aziende sane che crescono e producono cose utili. Ha aziende in cui si valorizzano i talenti, non si inquina, non si portano i soldi all’estero per sfuggire alle tasse. Ha aziende che escono da trent’anni di vacche grasse con i granai pieni, pronte ad affrontare i tempi duri, e non aziende fragili, senza un euro, incapaci di tirare la cinghia. Un Paese normale ha manager capaci, con i conti in ordine, non avidi, creativi. Soprattutto, ha imprenditori che puntano sulle eccellenze naturali del Paese (turismo, accoglienza, ambiente, cultura, agroalimentare di qualità…) e non su business che chiunque può realizzare meglio di noi e a minor costo.

In un Paese normale non vedremmo sempre i soliti manager ottantenni a capo di tutte le imprese da decenni. In un Paese normale, dopo un simile tragico bilancio economico-imprenditoriale, le dimissioni fioccherebbero. Ma qui il problema è il Paese, almeno così si dice. Io direi, piuttosto, che il Paese ha un problema (tra i tanti): loro. 

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