In questi giorni ricordiamo il cinquantesimo anniversario dell’immane tragedia del Vajont: 1910 morti che in qualsiasi Paese del mondo non sarebbero passati senza lasciare il segno. Da noi il contrario. Tante lacrime a posteriori, un pianto e una solidarietà generalizzata (tanto è gratis), senza fare l’unica cosa che un Paese civile deve fare e fa in questi casi: rimuovere per quanto possibile le cause strutturali che hanno portato all’immane disastro, quando il fiume Piave si riempì di cadaveri senza nome e senza sepoltura. Il pianto senza pentimento, senza conversione, senza cambiare le cose, direbbe papa Bergoglio (e non solo!), è roba “da cristiani da pasticceria”. Una carneficina indicibile che non ci ha insegnato nulla, anzi oggi le lacrime di tutti – giornali, intellettuali, professionisti, politici etc. etc. – stridono vigliaccamente davanti all’inettitudine che ha fatto sì che ben poco sia cambiato e un’altra tragedia del genere potrebbe verificarsi in ogni momento. Ricordiamo in sintesi perché.

  1. La prima causa del disastro fu la connessione politica tra la Sade e i vari governi, amministrazioni che approvarono il progetto. La storia della costruzione della diga del Vajont è troppo lunga per essere ricordata, ma essa è in primo luogo una sequela di collusioni tra grande industria (la Sade era allora uno degli oligopolisti elettrici in Italia e aveva mandato persino un suo Presidente a fare il ministro del Tesoro) la politica e l’amministrazione, a partire dall’approvazione iniziale del progetto che avvenne nell’agosto ’43 nelle more tra la caduta del fascismo e l’armistizio. È davanti agli occhi di tutti che ancor oggi le autorizzazioni e la burocrazia seguono – se opportunamente guidate – la strada degli interessi particolari e non di quelli generali. La commistione politica-interessi economici fu il primo responsabile dell’eccidio e ancor oggi è una prassi che sussiste imperterrita, senza che siano state individuate regole e sanzioni per stroncarla.

  2. Un altro fondamentale motivo della tragedia del Vajont fu la contraddittorietà delle perizie tecniche fornite. Dalle prime perizie di Dal Piaz del 1937, a quelle di Ghetti, Semenza padre e figlio, fino a Caloi e Müller sembra una gara a dimostrare l’indimostrabile. Le varie perizie geologiche effettuate attestarono tutto e il contrario di tutto: ma furono considerate solo quelle favorevoli. I geologi, oggi come allora non fanno o non possono svolgere il loro dovere professionale. Come nel caso di molti altri ordini professionali (ad esempio i revisori), essi vivono un insanabile conflitto di interessi, per il quale sono chiamati solo coloro che sono disposti ad assecondare la volontà dei committenti e gli indipendenti restano senza lavoro. Migliaia di giovani geologi sono a spasso per il semplice motivo che pur essendo indispensabile in moltissimi casi l’utilizzo di un geologo, si cercano figure professionalmente più accondiscendenti per l’ottenimento di autorizzazioni delicatissime. Gli ordini professionali ancor oggi non tutelano affatto l’autonomia e la competenza professionale dei loro iscritti. In questo modo le scienze applicate oggi come allora nel nostro paese sono discussioni ideologiche o risse da bar.

  3. A parte la giornalista dell’Unità Tina Merlin, tutti i giornali e quasi tutta la politica furono in un primo tempo deliberatamente sordi agli allarmi che vennero lanciati. Ma anche dopo la tragedia la musica cambiò poco, perfino giornalisti famosi per la loro indipendenza come Indro Montanelli a lungo cercarono di sminuire le responsabilità della Sade. La stampa e la politica restano ancora in gran parte – anche se alcuni miglioramenti sono avvenuti – uno strumento esclusivo per l’affermazione di interessi economici. Anche contro l’evidenza più patente, politica e informazione non si preoccupano di omettere o di sostenere solo ciò che è loro più conveniente.

  4. Il processo apertosi nel febbraio 1968 (già cinque anni dopo la tragedia) si concluderà con la pronuncia della Cassazione nel marzo 1971 di condanne tra i 5 e i 6 anni di galera per gli imputati maggiori e il riconoscimento della non prevedibilità della frana che determinò il disastro. Solo nel 1997 in sede civile verranno indicati i risarcimenti che obbligheranno l’Enel a indennizzare i comuni di Longarone e di Erto-Casso. Sul piano giudiziale i morti del Vajont non hanno avuto colpevoli, solo un po’ di denaro per i comuni. Oggi come ieri i cittadini comuni faticano a credere che i loro diritti abbiano lo stesso peso dei diritti dei potenti e degli intrallazzati. Oggi come ieri la Magistratura, ma prima di essa la società civile, non ha nessun mezzo per far pagare ai criminali in colletti bianchi le conseguenze dei loro delitti.

Come diceva Esopo, ὁ μῦθος δηλοῖ ὃτι «la storia insegna che»: in Italia è molto più facile piangere e commemorare che cambiare realmente le cose.

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