Tra le poche conseguenze positive dell’egemonia tedesca sulla crisi europea, c’è l’imposizione del “modello Cipro” in caso di crisi bancaria: prima di usare i soldi dei contribuenti per aiutare gli istituti di credito in difficolta’, bisogna spremere fino all’ultimo euro gli azionisti (titolari di capitale di rischio), i creditori, e financo i correntisti che, affidando i propri risparmi a quella specifica banca, hanno scelto di condividerne almeno in parte il destino. Soltanto alla fine paga l’incolpevole contribuente, gia’ parecchio tartassato. Non si capisce perché questo approccio non venga applicato quando si parla di industria. Telefónica si compra il controllo di Telecom per 800 milioni di euro e lo Stato si interroga su come spendere qualche miliardo pubblico sulla rete controllata dagli spagnoli.

Air France aspetta con pazienza che Alitalia sia definitivamente decotta, con i “patrioti” che hanno ottenuto soltanto 840 milioni di euro di perdite, e il dibattito si sposta su come creare una rete di sicurezza, tra banche e istituzioni pubbliche, che rimandi ancora il problema. Applichiamo il “modello Cipro”: lo Stato puo’ intervenire, ci mancherebbe altro, le regole europee sugli aiuti di Stato servono proprio a fissare il perimetro della sua azione. Ma non puo’ accollarsi il conto di anni di scellerate (o scientemente disastrose) scelte imprenditoriali. Se Telefónica vuole comandare, benissimo, venga pure. Ma paghi il premio di controllo, la si puo’ costringere a lanciare un’Opa sulla Telecom (in Parlamento il senatore Pd Massimo Mucchetti sta spingendo una riforma che fa scattare l’obbligo quando c’è controllo di fatto, anche sotto il 30 per cento del capitale): se l’Italia vi interessa, pagate.

Dopo che il mercato avra’ fatto il suo dovere di selezione e che l’azienda sara’ in mano a chi le attribuisce le maggiori potenzialita’ di crescita, lo Stato potra’ intervenire per fare la sua parte, per esempio con finanziamenti a lungo termine per l’infrastrutture della banda larga. Idem Alitalia: non si capisce perché lo Stato la debba pagare tre volte, con le perdite della gestione pubblica, poi con la cassa integrazione post-privatizzazione e ora con la difesa anti-Air France. Se questa Alitalia è di nuovo disastrata, forse è giusto che fallisca, che le banche (come Intesa) azioniste e creditrici paghino il prezzo dell’operazione di sistema, che l’Eni perda i soldi del carburante venduto a una società senza liquidità e che i “patrioti” paghino fino all’ultimo centesimo il loro investimento politico, perdendo anche il “prestito” ponte da 150 milioni, surrogato di un aumento di capitale. Se lo Stato, anche tramite le Ferrovie dello Stato, vuole intervenire per evitare che l’Italia diventi periferia della Francia, è titolato a farlo. Ma senza alleviare di un solo euro il giusto salasso che i “capitani coraggiosi” sono chiamati a sopportare dopo aver soffocato la compagnia aerea negli anni in cui è stata loro affidata.

Twitter @ stefanofeltri

Il Fatto Quotidiano 9 ottobre 2013

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