Per la Corte Costituzionale è "inammissibile" che la pena possa essere differita anche a causa delle condizioni disumane di detenzione. Ma, allo stesso tempo, interverrà per stoppare l’esecuzione della pena qualora non venissero presi provvedimenti
Il sovraffollamento delle carceri deve essere risolto dal legislatore, o la Corte Costituzionale adotterà decisioni per stoppare l’esecuzione della pena quando debba essere scontata in condizioni disumane. Il monito arrivato dalla Consulta è più forte della sentenza pronunciata in merito alla questione di legittimità costituzionale sollevata da due tribunali di sorveglianza, Venezia e Milano, sull’articolo 147 del codice penale. I giudici, infatti, hanno reputato inammissibile l’istanza, che di fatto puntava ad ottenere dalla Corte una sentenza additiva che integrasse l’articolo 147, in modo da ampliare i motivi per cui si può chiedere il differimento della pena.
Attualmente le cause che giustificano il rinvio sono gravidanza, puerperio, Aids conclamata o altra malattia particolarmente grave. L’obiettivo era che tra questi motivi fosse ricompreso il sovraffollamento carcerario e le condizioni disumane di detenzione. Le ragioni del “no” giunto dalla Consulta – che saranno illustrate più chiaramente quando saranno depositate le motivazioni – è che la Corte non può sostituirsi al legislatore. Inoltre, ci possono essere “una pluralità di possibili soluzioni” che solo chi fa le leggi può individuare.
Resta il fatto, avverte la Consulta, che il problema è “grave” e “il legislatore dovrà porre rimedio nel più breve tempo possibile”. Il pronunciamento arriva in una fase quanto mai cruciale per l’emergenza carceri, all’indomani del messaggio alle Camere del Capo dello Stato Giorgio Napolitano che tante reazioni ha scatenato per l’apertura ad amnistia e indulto. Sull’Italia, inoltre, pende una scadenza impegnativa: quella dettata dalla sentenza della Corte di Strasburgo dei diritti dell’uomo che dà tempo all’Italia fino al maggio 2014 per adeguarsi e rendere le carceri conformi ai parametri europei in termini di spazio, capienza e condizioni generali o scatteranno le sanzioni. E, in prospettiva, è anche guardando a questa scadenza che la Corte Costituzionale ha deciso di muoversi come si è mossa.
Il tribunale di sorveglianza di Venezia aveva sollevato il dubbio di costituzionalità per il caso di un detenuto del carcere di Padova, ristretto in una cella con uno spazio vitale inferiore ai tre metri quadri. Poi è giunta l’istanza da Milano per un detenuto del carcere di Monza: la cella è così piccola che i tre carcerati che la dividono non possono scendere insieme dal letto; il bagno è senza porta e senza acqua calda. La Consulta ha giudicato inammissibili entrambe le questioni. Così facendo ha lasciato tempo al legislatore perché faccia la sua parte e rispetti gli obblighi imposti da Strasburgo. Allo stesso tempo però ha lanciato un chiaro avvertimento, preannunciando un’eventuale fase 2: “Nel caso di inerzia legislativa – ha fatto affermato infatti la Consulta – la Corte si riserva, in un eventuale successivo procedimento, di adottare le necessarie decisioni dirette a far cessare l’esecuzione della pena in condizioni contrarie al senso di umanità”.