Il berlusconismo, ovvero la mancata rivoluzione liberale, non si può ridurre alla presenza del Cavaliere, va ben oltre la sua persona, è la trasformazione della democrazia attraverso il consenso ad ogni costo ottenuto a forza di false promesse, dopo aver trasformato la società in un regime mediatico: un uomo solo al comando delle tv, portatore di egoismo sociale. Il berlusconismo rappresenta il fallimento dello Stato: non esiste una nicchia della società dove non vi sia corruzione. Per don Gallo la Chiesa avrebbe dovuto vigilare, stando al servizio degli altri, accogliendo con gioia il confronto e aprendo le braccia a tutti, invece non lo ha fatto anzi è stata collusa. Per questo considero le parole e le prime azioni del Papa una rivoluzione. Dovrebbe essere normale per un prete spogliarsi delle proprie ricchezze per condividerle con i meno fortunati, esattamente quello che ha deciso di fare Francesco con i sopravvissuti di Lampedusa. L’atto ricorda le parole di Gesù: “Sono venuto per servire e non per essere servito”.
Don Gallo per tutta la vita ha servito i poveri e ha lottato contro le ingiustizie sociali, facendo del Concilio Vaticano II la regola della sua missione, credendo nella Teologia della Liberazione contro la “disumanizzazione dell’economia”, subendo la condanna del palazzo invece di riceverne le lodi. Bergoglio, all’inizio del pontificato, ha incontrato il domenicano Gustavo Gutierrez, il padre della Teologia della Liberazione e ha ricordato il sacrificio del vescovo Romero, rendendolo simbolo della Chiesa, sono atti in controtendenza con chi lo ha preceduto.
Riconoscere l’esempio di don Gallo, il suo amore per gli ultimi, incontrando la sua Comunità, San Benedetto al Porto, dopo aver detto: “Basta cristiani da salotto”, significherebbe passare dalle parole ai fatti.
Il Fatto Quotidiano, 9 Ottobre 2013