E adesso ci si prova con il No Porcellum Day, lanciato dal vicepresidente Pd della Camera Roberto Giachetti per il 31 ottobre. “A cambiare questa legge elettorale il Pdl non ci pensa per niente e il Pd non si è ancora capito che cosa voglia fare”, ha spiegato il deputato renziano, che per ottenere l’affossamento dell’attuale legge elettorale ha annunciato addirittura uno sciopero della fame (riguarda lo speciale ‘A digiuno contro il Porcellum’ del FattoTv con Giachetti). Chissà se sarà la piazza a dare la spallata finale a un testo tanto vituperato quanto resistente dopo che a nulla sono serviti i ripetuti appelli del Quirinale, le promesse del premier Letta e di tanti esponenti delle “larghe intese”, i rilievi provenienti dalla Corte costituzionale. E una diffusa antipatia popolare, tradotta in oltre un milione di firme raccolte per i referendum abrogativi poi bocciati dalla Consulta stessa. “Siamo esattamente nelle stesse condizioni della fine della passata legislatura”, ha spiegato Giachetti. “Dichiarazioni roboanti sull’esigenza di cambiare la legge. Risultato: siamo andati a votare ancora con il Porcellum”.
Le tare del Porcellum risalgono alla sua nascita: il centrodestra la approvò in fretta e furia nel dicembre 2005 per cercare di limitare i danni alle elezioni della primavera successiva, già date per perse dopo l’opaca prova del quinquennio berlusconiano. Celeberrima la successiva definzione data dal suo stesso architetto, il leghista Roberto Calderoli: “Una porcata“, ammise, da cui “Porcellum”. Nessun voto di preferenza, con conseguente possibilità per i partiti di nominare in proprio gran parte dei parlamentari. Premi di maggioranza incongrui: 340 seggi secchi alla Camera garantiti alla lista o alla coalizione vincente, qualunque sia la percentuale ottenuta alle urne; premio di maggioranza al Senato assegnato su base regionale. In sintesi: massima garanzia per la Casta, minima garanzia di governabilità.
Era il 9 luglio 2012 quando il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiarì ai partiti delle larghe intese (versione Monti) che la riforma della legge elettorale non era più rinviabile e doveva essere fatta entro venti giorni. Nulla accadde, e venti giorni dopo la voce del Quirinale tornò a farsi sentire: “Nei giorni scorsi, anziché chiarirsi e avvicinarsi, le posizioni dei partiti sono apparse diventare più sfuggenti e polemiche. Debbo dunque rinnovare il mio forte appello a un responsabile sforzo di rapida conclusiva convergenza in sede parlamentare”. Poi abbiamo fatto in tempo a ri-votare con il Pocellum nel febbraio 2013.
Poi venne il governo Letta. Che il 22 maggio annunciava almeno una “correzione” del Porcellum entro l’estate. Da parecchi giorni abbiamo ritirato fuori i maglioni pesanti, ma il Porcellum c’è ancora. Pochi giorni prima, il 17 maggio era stata la Corte di cassazione a bocciare il sistema elettorale ideato da Calderoli, accogliendo un ricorso di 27 cittadini. Per la Suprema corte, il doppio premio di maggioranza così concepito “pone dubbi di legittimità costituzionale per la mancanza di una soglia minima di voti e/o seggi”, e la legge nel suo complesso è “irrazionale” perché promette governabilità, ma nei fatti la osteggia. Su tre tornate elettorali, infatti, due sono finite con un Senato in bilico o comunque privo di una maggioranza chiara (nel 2006 e nel 2013). Palla alla Corte costituzionale, insomma.
La Consulta non si è ancora pronunciata, ma le parole degli ultmi due presidenti sono suonate chiare. Era il 12 aprile di quest’anno quando Franco Gallo confermava apertamente i “sospetti di incostituzionalità”. Appena insediato, il 19 settembre, il suo successore Gaetano Silvestri non ha potuto fare a meno di confermare gli “aspetti problematici rispetto al premio di maggioranza che non prevede una soglia minima”.
Colpi su colpi, ma il Porcellum è sempre qui, una legge zombie che blocca ulteriormente il quadro politico, dato che se si tornasse a votare per superare le larghe intese eternamente fibrillanti il rischio sarebbe di trovarsi in una situzione molto simile a quella di oggi. Però la “porcata” sotto sotto piace a molti, come ha maliziosamente sottolineato lo stesso Calderoli. Perché permette ai partiti di scegliere i parlamentari senza dover tenere troppo conto degli umori degli elettori e almeno alla Camera dà un bel vantaggio anche a chi vince di misura. Il 31 ottobre la parola passa alla piazza.