E tre. Con il rischieramento annunciato ieri di personale e mezzi della Special-Purpose Marine Air-Ground Task Force Crisis Response (SP-MAGTF Crisis Response) sulla base aerea di Sigonella è la terza volta in meno di sei mesi che questa forza di pronto intervento dei Marines si sposta dalla sua casa madre di Moron de la Frontera, non lontano da Siviglia nel sud della Spagna, sull’aeroporto siciliano. Ufficialmente una base italiana, ma di fatto la più grande installazione statunitense nel Mediterraneo dalla quale dipendono anche i sistemi di tramissione strategici di contrada Ulmo, a Niscemi, compreso il ben noto MUOS.
Tre volte in sei mesi: come dire che di fatto l’unità è stata quasi continuativamente in Italia. E stavolta ci starà, salvo imprevisti, fino al 6 dicembre come ci dice un comunicato della Difesa italiana arrivato buon ultimo dopo che tutti i media statunitensi avevano già annunciato lo spostamento. La classica stalla con gli altrettanto classici buoi. Già scappati. È bello sapere di vivere in un Paese dove il proprio Governo attende pazientemente che siano gli altri ad annunciare che il nostro territorio sta per diventare trampolino di lancio di qualche avventura militare. Americana.
Non ci volevano d’altronde grandi capacità divinatorie, come avevo scritto tempo fa, per capire che il primo dispiegamento dello scorso maggio sarebbe diventato uno spostamento quasi permanente. Se qualcuno voleva la controprova, è sotto gli occhi di tutti. Dopo quel trasferimento di duecento marines, di alcuni convertiplani MV-22B Osprey e di due aerei cisterna KC-130, sempre del corpo dei Marine, la SP-MAGTF Crisis Response è tornata a Sigonella ai primi di settembre. L’11 non è infatti solo l’anniversario delle Twin Towers, ma anche dell’attacco del 2012 al consolato statunitense di Bengasi. Non si sa mai che ci potessero essere qualche rigurgito di violenza. Adesso, a neppure un mese di distanza, l’ulteriore trasferimento che durerà almeno sessanta giorni.
Il motivo? Sta sulle prime pagine dei giorni scorsi: la cattura in territorio libico di Abu Anas al-Libi, ritenuto uno dei capi di al Qaida in nord Africa, accusato dagli Stati Uniti degli attentati del 1998 alle loro sedi diplomatiche in Kenya e Tanzania. Per gli Usa si tratta di una operazione legale, opinione non condivisa (a parole) dal primo ministro libico Ali Zeidan che ha parlato del “rapimento” di un suo concittadino. Ma tant’è: L’idea “muscolare” che gli Usa hanno della legalità internazionale affonda le sue radici più tra i pistoleri del Rio Bravo che nei trattati e nei codici. Abu Omar, do you know?
Volenti o nolenti, noi italiani ci siamo dentro fino al collo. Non solo perché la Libia è a due passi dalle nostre coste, come ci insegnano le tragedie di questi giorni. E a prescindere dal fatto che gli uomini del commando siano partiti o meno dall’Italia. Nel nostro Paese gli statunitensi hanno infatti i centri nevralgici di comando e controllo delle loro operazioni. La nave anfibia USS San Antonio, dove è tenuto sequestrato il libico, dipende dalla US 6th Fleet il cui cervello operativo si trova nel compound statunitense di Capodichino oltre che a bordo della nave USS Mount Whitney, il cui home port è Gaeta, a un tiro di schioppo da Roma.
Considerando come il focus strategico statunitense si sia ormai decisamente spostato nel Nord Africa e nel Sahel (l’Italia ospita due elementi essenziali del loro Africa Command: il segmento terrestre a Vicenza, e quello marittimo a Napoli), il definitivo trasferimento a Sigonella della SP-MAGTF Crisis Response è probabilmente solo questione di mesi. L’autonomia dei convertiplani MV-22 è troppo ridotta perché la base spagnola di Moron sia la scelta definitiva rispetto al più probabile teatro di operazioni che è la costa africana del Mediterraneo centrale e orientale.
A Sigonella d’altronde esiste già da tempo un’altra unità, la SP-MAGTF Africa. Un reparto che dovrebbe provvedere all’addestramento di unità delle forze armate africane “amiche”. Ma che potrebbe fondersi con l’altro e formare un tutt’uno, al comando di un colonnello, secondo quanto dichiarato al settimanale semi-ufficiale Marine Corps Times dal generale Frederick Padilla, capo delle operazioni dei Marines. Se poi a questo aggiungiamo la raccomandazione fatta al Pentagono lo scorso agosto dal Senato di Washington di trasferire in Sicilia anche gli MV-22B del 7th SOS (Special Operations Squadron) attualmente a Mildenhall, in Inghilterra, il radioso destino della base siciliana sembra compiuto.
Una piccola nota a margine, per concludere. Nei giorni scorsi quasi tutti i giornali italiani hanno rilanciato con grande enfasi e un qualche allarme un articolo del sito americano Mother Jones sulla centralità assunta dall’Italia nelle guerre americane di oggi e di domani. Articolo onesto, ma senza particolari novità. Per quanto riguarda la Sicilia, ad esempio, Antonio Mazzeo da anni tiene d’occhio con competenza la progressiva militarizzazione a stelle e strisce dell’isola. Senza che i nostri giornali ritengano di degnarlo di una citazione. È straordinario come gli stessi giornalisti che in genere brillano per la loro ignoranza linguistica, si commuovano appena sentono un accento yankee.
Nemo propheta acceptus est in patria sua (Luca 4,24).