In Turchia il velo vince sulle scollature provocanti. Da oggi le dipendenti pubbliche turche potranno indossare il velo, mentre chi ha una vestito troppo scollato può rischiare di perdere il lavoro. E’ quello che è accaduto a una presentatrice televisiva messa alla porta dopo che Huseyin Celik, portavoce dell’Akp, partito del premier turco Recep Tayyip Erdogan, ha criticato indirettamente il suo abbigliamento, definendolo “estremo”. Protagonista della vicenda, riportata dal sito web del giornale turco Hurriyet, è la presentatrice televisiva Gozde Kansu. “Non interveniamo contro nessuno, ma questo è troppo. E’ inaccettabile”, ha detto il portavoce dell’Akp, secondo il quotidiano. Dopo le voci sul licenziamento della presentatrice dal varietà ‘Veliaht’ e la sua immediata “scomparsa” dagli studi del programma, il giornale turco scrive che è stata confermata la notizia del “congedo” della conduttrice. 

Che il dress code in Turchia stia cambiando, lo si intuisce anche dal fatto che in nome della ‘democratizzazione’, la Turchia targata Recep Tayyip Erdogan torna in realtà indietro di 90 anni abolendo ufficialmente uno dei simboli della repubblica laica, fondata nel 1923 sulle rovine dell’Impero ottomano da Mustafa Kemal Ataturk. Ora infatti, le maestre potranno presentarsi velate nelle scuole, postine e deputate potranno indossare il tradizionale ‘turban’ sul capo, così come i funzionari potranno portare la barba islamica.

La revoca del bando del velo e della barba per gli uomini nei pubblici uffici, annunciata la settimana scorsa dal premier, è entrata ufficialmente in vigore oggi, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Per l’opposizione è una ulteriore conferma della ‘reislamizzazione’ del Paese voluta dal capo del governo e del suo partito islamico Akp. Erdogan invece esulta. “Abbiamo abrogato una disposizione arcaica”: è una riforma “storica” e la fine di un “periodo buio”, ha detto ai deputati Akp.

L’abolizione del divieto del ‘turban’, come viene chiamato in turco il velo islamico, nei pubblici uffici si è fatta in maniera quasi indolore. “Erdogan vuole fare della Turchia un paese che vive secondo le regole del Corano” ha accusato il deputato socialdemocratico Muharren Ince.

Ci sono state critiche, ma niente barricate, non il sollevamento del ‘popolo laico’ che 4 anni fa aveva accolto il primo strappo al divieto del velo, quello per le studentesse universitarie, voluto da Erdogan. Da allora, passo dopo passo, il bando del turban è caduto per gli avvocati donne, nei corsi di religione e nelle scuole private, nelle cerimonie ufficiali, dove la presenza delle mogli velate di Erdogan e del capo dello stato Abdullah Gul non suscita più le proteste dell’opposizione e dei generali ‘kemalisti’ (decine dei quali sono ora in carcere, accusati di presunti tentativi di golpe contro il governo islamico).

In undici anni di potere, il ‘sultano’ di Ankara ha fatto costruire migliaia di nuove moschee, aperto scuole coraniche, imposto giri di vite sul consumo di alcool (l’ultimo in maggio). Le bevande alcooliche non possono più essere vendute nel raggio di 100 metri da una moschea o da una scuola, o fra le 10 di sera e le sei del mattino.

Con la riforma del ‘turban’, è scattata oggi anche un’altra misura di ‘democrazià annunciata dal premier: l’abolizione del ‘giuramento turcò, che gli scolari di tutto il paese pronunciano ogni mattina, dai tempi di Ataturk. Il giuramento si conclude con “Ne Mutlu Turkum Diyene” (“Quanto è felice chi può dire ‘Sono Turcò”). Una misura considerata un gesto distensivo verso i curdi, nel quadro del laborioso processo di pace del Kurdistan turco avviato con il Pkk.

 

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