Il casus belli è la Grecia, ma l’impressione è che il distacco potrebbe essere ben più profondo. Fondo Monetario Internazionale ed Eurozona vicine al divorzio, scrive il Wall Street Journal. La riluttanza dei tecnici del Fmi ad accettare sic et simpliciter gli ulteriori sforzi per i Paesi Piigs (in primis la Grecia, ma domani chissà) sta contribuendo al deterioramento delle relazioni tra le due parti. Punto di partenza dello scontro il report del Fondo sul primo memorandum greco, in cui i tecnocrati di Washington sostengono che sia stato un gravissimo errore non provvedere alla ristrutturazione del debito greco già nel 2010. Ora il Fmi sta spingendo l’intera zona euro affinché onori gli impegni presi nella direzione di un ulteriore deterioramento del debito pubblico greco. Un passaggio che avrebbe come prima conseguenza un conflitto diretto con la leadership politica tedesca.
A supporto di questa tesi ecco le parole pronunciate lo scorso giugno dall’ex direttore del Fmi per l’Europa, Antonio Borges, quando osservò che “il divorzio tra l’Europa e il Fondo monetario internazionale è reale e il Fondo ritornerà così alla normale modalità di funzionamento”, in quanto è un “un istituto che è abituato ad agire da solo”. Le frizioni tra Fmi ed europei sul debito sovrano greco sono emerse ancora una volta in occasione della riunione annuale del Fmi e della Banca Mondiale tenutasi a Washington. Nel corso di una conferenza stampa il direttore del Fmi Christine Lagarde ha sottolineato che non ha motivo di dubitare che “gli europei sono onesti e si atterranno a quanto è stato concordato, ma riaffermando il loro impegno, se necessario”. Mettendo l’accento sul fatto che a metà del 2014 si prevede di effettuare ulteriori consultazioni sulla questione del debito greco. Intanto 24 ore prima era stato diffuso il rapporto del Fmi Fiscal Monitor, che registra la posizione – da tempo nota – del Fondo per l’esigenza di un nuovo “haircut” su cui più di un terzo del board del Fondo monetario internazionale si era opposto nel 2010, sostenendo che era “concepito per salvare i creditori europei e non la popolazione greca”. Ma il via libera giunse grazie alle pressioni di Europa e Usa, provocando una crisi devastante.
Due giorni fa in occasione di un dibattito tenutosi nella sede tedesca della Fondazione Bertelzman intitolato “Euro 5”, gli illustri relatori non hanno fatto mancare di esternare anche in termini perentori, le proprie posizioni: il commissario per gli Affari economici Olli Rehn, il membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea Giergk Asmousen, il capo della European Stability Mechanism Klaus Regklingk, e il capo della Banca europea per gli investimenti, Werner Chogier.
La maggiore criticità dal versante americano risiede nel fatto che, come scrive il Wsj, il coinvolgimento del Fondo monetario internazionale nella crisi dell’eurozona è stato visto come una primizia assoluta, dal momento che per la prima volta ha dato assistenza finanziaria alle economie sviluppate. Ma tuttavia proprio questo coinvolgimento ha di fatto indebolito l’efficacia stessa del Fmi di trattare con future crisi del debito. E rafforzando questa vulgata con i numeri offerti dal rapporto del Centro Internazionale per la Governance dell’Innovazione con sede in Ontario, Canada. Il paper va molto più a ritroso e critica la scelta del Fondo di allentare le norme di salvataggio che invece aveva adottato nel 2002. Producendo un quadro complessivo di regole che, secondo il centro studi canadese, avrebbe incoraggiato a procedere con la ristrutturazione del debito ed evitando la pressione sul fondo per fornire assistenza finanziaria, quando invece c’erano limitate speranze di giungere ad un livello di debito sostenibile.
Secondo il rapporto il contesto è cambiato proprio in occasione del caso greco, con evidenti indicazioni di come si trattasse di un debito “chiaramente insostenibile”. Concludendo con la consapevolezza che la ristrutturazione del debito greco detenuto da investitori privati “è giunta troppo tardi ed è molto poco per ripristinare la redditività”.
Una situazione su cui non manca “il cappello” della grande stampa internazionale che si accoda alle indiscrezioni del Wsj e, anzi, raddoppia. Bloomberg, Spiegel e Die Welt, concordano su un punto: una nuova crisi ci sarà in Grecia il prossimo anno. Leonid Bersintski dalle colonne dell’agenzia Bloomberg osserva che “la Grecia crede di essere sulla buona strada per raggiungere il suo obiettivo di avanzo primario, ma le previsioni erano troppo ottimistiche. Il meccanismo di riscossione delle imposte è bloccato, il Paese è ancora in recessione e le privatizzazione vanno a rilento”. E conclude: “Ulteriori tagli, tuttavia, possono essere politicamente insostenibili: il paese è già in fermento per le misure di austerità adottate dal governo e un mancato raggiungimento degli obiettivi di bilancio potrebbe essere ritardato proprio da un ulteriore aiuto del Fmi. Una nuova crisi greca è una possibilità concreta per il prossimo anno”.
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