Quartiere di Soho, Londra, circa venti prostitute protestano rumorosamente “per salvare il nostro quartiere”, dicono. La notizia è che nella notte fra martedì e mercoledì il primo sgombero è avvenuto, al numero 26 di Romilly Street, voluto direttamente dai proprietari dello stabile in seguito a una richiesta specifica della polizia della capitale britannica. Prostituirsi in casa, nel Regno Unito, non è reato, ma non ci deve essere più di una prostituta per unità abitativa, altrimenti ci si trova davanti a una vera e propria casa chiusa (brothel in inglese), non consentita dalla legge. Ma qui in Greek Street le prostitute, appunto, hanno chiamato a raccolta la stampa, le femministe, le associazioni di donne contro la violenza e contro la povertà. Perché anche in questa strada piena di locali e di attività indipendenti, dicono le lavoratrici del sesso di Soho, la società immobiliare Soho Estates vuole procedere agli sgomberi. “Questa è una comunità – urla dal megafono Cari Mitchell, la loro portavoce – e queste donne rappresentano l’essenza di questo quartiere. La proprietà, minacciata dalla polizia, ora ci vuole far andare via. Ma se queste donne, con le loro attività, spariscono, a scomparire sarebbe un intero tessuto sociale. E migliaia di persone di questo quartiere hanno già firmato una petizione contro gli sgomberi”.

Intervenendo alla protesta, come da tradizione britannica, il diretto interessato replica di fronte alle prostitute: “Ci troviamo di fronte a un ordine della polizia – spiega John James, direttore operativo della Soho Estates – e non possiamo farci nulla. I proprietari di queste abitazioni non sono contrari al loro attuale utilizzo, ma dobbiamo rispondere a un ordine che arriva dall’alto”. E Cari replica: “Bene, allora combattete al nostro fianco e salvate le donne di Soho”, e mentre lo dice parte l’applauso anche dalle finestre sovrastanti. “Se la polizia teme che in queste case ci siano dei bordelli, allora che produca le prove. Noi non agiamo nell’illegalità, ma va anche detto che questa legge è sbagliata. Se le donne che vendono il proprio corpo potessero lavorare assieme ad altre colleghe, ne guadagnerebbero in sicurezza. Non dimentichiamoci che questo è un Paese dove le lavoratrici del sesso vengono ancora violentate e assassinate”.

Rappresentate dall’English Collective of Prostitutes, le donne di Soho in effetti cercano da anni di sensibilizzare su una legge considerata “troppo stringente”. Prostituirsi nel Regno Unito non è reato, ma è un crimine farlo per strada e attirare un cliente per la via, così come, chiaramente, è reato il traffico di esseri umani, la coercizione e lo sfruttamento a fini di denaro dell’attività. Ma è reato anche pagare per una prestazione una donna costretta con la forza. “La polizia lo dimostri, ci dia le prove che questo sta avvenendo a Soho”, urla Cari. Ora, le ragazze di Greek Street ne sono sicure: “Ci stanno mandando via perché vogliono costruire alberghi di lusso e grandi attività commerciali. Ma in questo modo verrebbe messo a rischio tutto il tessuto produttivo di Soho, fatto di piccoli negozi e piccoli locali per il divertimento. Ora noi chiediamo alla gente di questo quartiere di aiutarci. E di lottare al nostro fianco per salvare quest’area”.

Ma neanche questo richiamo al commercio e alla solidarietà fra vicini di casa convince il direttore operativo della Soho Estates: “Noi non possiamo andare contro la legge. Del resto è noto: per le nostre regole, l’inquilino è responsabile di quello che succede in casa sua. E se la polizia ha emesso questo ordine avrà pure le sue buone ragioni”. Intanto, nell’euforia della protesta, alcune delle “ragazze di Soho” parlano a testa bassa con la stampa e rivelano le loro storie. “Ho quattro bambini in Thailandia – dice Leyla, che è appena stata sgomberata dal 26 di Romilly Street – e loro non sopravviverebbero senza il denaro che mando ogni mese. La recente alluvione nel mio Paese di origine ha inoltre peggiorato le cose e non ho alcun modo di lasciare questo lavoro. Perché vendere il nostro corpo a Soho è considerato più immorale che vendere il nostro corpo e le nostre esistenze a una fabbrica, a un ristorante, a un bar o a una banca? Ora che sono stata sgomberata finirò quasi sicuramente in una strada. E la mia vita sarà meno sicura”.

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