Discontinuità. Insieme a tutela del servizio pubblico e sinergie industriali, è una delle tre parole chiave che hanno accompagnato l’ufficializzazione del ritorno dello Stato in Alitalia a soli cinque anni dalla privatizzazione. Con un versamento da parte di Poste Italiane di una quota iniziale di 75 milioni di euro, cui va aggiunto l’accollo pro quota del debito della compagnia, quindi un centinaio di milioni a carico pubblico su un totale di quasi un miliardo. Eppure l’operazione Lupi-Letta sembra tutto tranne che all’insegna della discontinuità. Se non per il fatto che lo scorso anno il numero uno di Poste Italiane, Massimo Sarmi aveva deciso di uscire definitivamente dal business del trasporto aereo esprimendo chiaramente in bilancio l’intenzione di disfarsi della Mistral Air, che rappresenta un buco in continua espansione nei conti della società pubblica.
La linea Passera – Per il resto, invece, tutto sembra andare nella direzione della continuità con la vecchia linea di Corrado Passera. Non solo perché l’ex banchiere e autore tuttora convinto del Piano Fenice che ha portato al (quasi) secondo fallimento di Alitalia, è ben rappresentativo delle classiche operazioni di sistema all’italiana di cui paghiamo il conto ancora oggi. E che oggi si ripetono con l’unica novità è una banca pubblica, le Poste appunto, ad affiancarsi a quelle private come Intesa SanPaolo socia e creditrice della compagnia.
L’acquisto di Mistral Air da Tnt Global Express nel 2002, infatti, era stato uno degli ultimi atti del Passera postino prima del passaggio a Banca Intesa. “L’idea è che noi vogliamo utilizzare il mezzo aereo per il corriere espresso, e abbiamo valutato che questa operazione poteva essere utile in questo senso. Vogliamo sempre più usare l’aereo quale mezzo di trasporto del corriere prioritario”, aveva commentato pochi mesi dopo l’operazione che avrebbe dovuto essere “aperta a ulteriori alleanze commerciali e industriali con altri operatori”, senza che nulla di simile è accaduto in modo stabile fino ad oggi.
Il buco Mistral Air – In compenso a fine 2012 Mistral Air registrava un patrimonio netto negativo per quasi 6 milioni di euro, un rosso (il quinto di fila) di 8,242 milioni e debiti per 33,858 milioni. Una situazione che, complice il suggerimento della Corte dei Conti, aveva spinto il successore di Passera alle Poste ad avviare il processo di dismissione della compagnia già ricapitalizzata per 3,5 milioni nel 2010, sollecitando manifestazioni di interesse “al fine di valutarne la cessione a un operatore selezionato”. Una scelta motivata sostanzialmente dall’andamento negativo di Mistral che richiede una nuova iniezione di liquidità obbligatoria da circa 3 milioni perché il patrimonio è appunto sceso sotto il minimo di legge. I numeri del vettore aereo, che funziona come low cost principalmente per l’Opera Pellegrinaggi, oltre ad occuparsi di trasporto merci/pacchi e trasferimento immigrati clandestini, non sono del resto rassicuranti.
Colpa della crisi che fa viaggiare di meno e dell’aumento del prezzo del greggio? Purtroppo no. O almeno non solo: da quando fa parte di Poste, la Mistral Air non è infatti mai riuscita a decollare cumulando perdite su perdite. Eppure le possibilità per un miracoloso rilancio non sono mancate: innanzitutto con l’accordo quinquennale con l’Opera pellegrinaggi, firmata per portare i pellegrini a Lourdes, Fatima, Santiago de Compostela. Con Antonio Martusciello, ex deputato di Forza Italia, ex sottosegretario e viceministro, che diventa presidente della compagnia fondata da Bud Spencer nel 1981.
E poi ancora con l’intesa con il ministero degli Interni per il rimpatrio degli immigrati clandestini irregolari. Missione per la quale Mistral Air affitta anche un aereo dalla low cost Myair, poi dichiarata insolvente con tanto di perdita da 150mila euro per la compagnia delle Poste. Ciononostante la compagnia aerea non è mai riuscita a decollare. E finora a pagare il conto dell’avventura area postale, che a maggio di quest’anno nella tratta Verona-Lourdes è stata costretta a un miracoloso atterraggio di emergenza allo scalo di Torino Caselle, sono stati i 6 milioni di correntisti delle Poste.
Poste Italiane, sempre più banca e meno lettere – Tutti coloro, cioè, che hanno permesso di prosperare al gruppo, che ha archiviato il 2012 con 1 miliardo di utile su 20 di fatturato. Già, perché nei conti del gruppo pubblico c’è sempre più finanza e sempre meno posta. Il sorpasso è avvenuto nel 2010 anno in cui i servizi finanziari, con quasi 5 miliardi di fatturato, hanno incassato più di quelli postali che, contando anche gli introiti del gruppo dalla vendita di polizze assicurative, rappresentavano solo un quarto del fatturato di Sarmi. Tanto da suscitare le proteste del sindacato che denunciarono: “Sul recapito non si investe più“. Scelta però confermata un anno più tardi con la riduzione dei giorni di consegna della posta, a proposito di tutela del servizio pubblico. Oggi, poi, i rapporti sono ancora più sbilanciati. Degli 11,435 miliardi di ricavi generati dalle Poste nel primo semestre del 2013, soltanto un quinto (2,240 miliardi) è arrivato da lettere e pacchi, il resto (poco più di 9 miliardi) è stato generato dall’attività di bancassicurazione.
Bisognerà vedere, poi, come cambieranno i pesi con lo sbarco in Alitalia. La Mistral Air, infatti, è una piccola realtà con un centinaio di milioni di euro di fatturato e, quindi, il conto delle perdite è tutto sommato contenuto. Questione diversa e di ben altra taglia è invece la compagnia di bandiera, la stessa che nel 2002 aveva levato gli scudi contro l’arrivo del concorrente nel recapito della corrispondenza gridando al furto di 60 milioni di euro l’anno. Un aspetto che “un’azienda al servizio dei cittadini che rappresenta un motore di sviluppo per l’intero Paese”, come recita il claim delle Poste, dovrebbe tenere ben presente quando decide di investire con i risparmi degli italiani.