Period! Esclama la tipetta vispa che si accorge che i pants si stanno macchiando di sangue. E, come l’opaca ragazza prima della trasformazione in Cat Woman o in un’altra super eroina, ecco che passa dallo stato di noia e fiacchezza a quello di scheggia piena di energia: diventa una leader, incita le altre a trarre beneficio dall’evento mestruale, distribuisce assorbenti e mostra come si adoperano, sgrida quella che si crogiola nel mal di pancia, e si rammarica quando, circa sette giorni dopo, il flusso è finito e quindi tutto torna come prima. Ma c’è una certezza: il mese successivo l’appuntamento energetico tornerà.

Sì, si parla proprio di quello: le mestruazioni. E’ la blogger Rebecca Eisenberg (la stessa che aveva reso nota l’esilarante presa in giro della penna bic da donna da parte di Ellen Degeneres) che segnala un divertente video dal sito Upworthy. Un tabù femminile, quello delle mestruazioni, quasi analogo all’altro spauracchio legato alla fecondità, la menopausa: due maledizioni speculari dell’essere femmina che solo il mercato vede come una ghiotta opportunità, mentre la cultura dominante difficilmente veicola la ciclicità lunare come positiva.

A ben vedere le donne sono esseri con continue perdite idrauliche: dall’adolescenza alla maturità ogni mese sanguinano, quindi sono bisognose di pannolini per il mestruo. Poi smettono, ma ecco che cominciano a perdere tonicità pelvica, e quindi vai con quelli per l’urina. Non si finisce mai. Che ci si può aspettare da esseri così bizzarri? Ecco spiegato perché le donne sono lunatiche e inaffidabili (fino agli anni 60 erano interdette le carriere in magistratura anche perché l’essere mestruate le rendeva instabili e quindi pericolose nell’esprimere il giudizio). E’ poi noto che ‘in quei giorni’ fanno impazzire la maionese, e se toccano le piante queste appassiscono, così come, nelle visione fondamentalista delle tre religioni rivelate, sono impure sempre ma in particolare quando mestruano. Per non parlare della sindrome pre e di quella post. Un inferno.

Per rendere appetibile questa condizione di iattura che costella metà dell’esistenza femminile si può anche provare a mostrare la paracadutista mestruata felice e attivissima, come nello spot di una famosa marca preso poi di mira negli anni’80 dalla tv delle ragazze; ma, insomma, sempre di pannicelli si tratta. Che dire dei modi di (non) nominare le mestruazioni? In diversi siti ne sono snocciolati più delle perle di un rosario, a mo’ di breviario (a uso dell’altro sesso), ‘per interpretare questi piccoli messaggi e scappare prima di scoprire di essere padre’: le mie cose, il marchese, il ciclo, ho il mese, la settimana santa, mi son venute a trovare le zie, il conte rosso, sono indisposta, mar rosso, le femmine, il ciclone, i visitors, lo zio fiume, le visite coniugali, la patata al sugo, problemi idraulici, le regole, i cuginetti, sono bagnata, pasqua, rottura mensile, semaforo rosso, amiche rompipalle, le bambine, il mio periodo di pensieri suicidi, i mostri, le bestiacce rosse, la zia Agnese, i fiumi di porpora, Alien, i parenti di Blob, sono arrivati i Russi.

Va da sé, letto l’elenco di certo manchevole, che a parte il poetico appellativo di ‘sangue della luna’, coniato da M.Z.Bradley nel suo La torcia, non è che i modi di (non) dire mestruazioni siano un incitamento all’orgoglio di possedere questo corpo: il messaggio dominante è di imbarazzo (per questo si devono trovare escamotage linguistici e perifrasi allusive), se non di vero e proprio malessere. Che meraviglia, perciò, poter vedere l’energetica poco più che bambina eccitata e desiderosa di assumersi la responsabilità di fare da tutor alle coetanee.

Che mondo migliore, per le bambine, si costruirebbe se le madri (e i padri) festeggiassero il primo sangue delle figlie come un evento fausto: uomo che sanguina sta male, donna che sanguina è sana, si diceva un tempo, segnando anche così la differenza di genere. Dare un volto positivo, nominare in modo chiaro e orgoglioso quella che invece, ancora oggi e troppo spesso, viene insegnata, (anche tacendo, omettendo nell’imbarazzato silenzio), e fatta vivere come una ferita, una minorità, un fardello femminile invalidante, il prezzo da pagare per la colpa originaria dell’essere ‘la porta del diavolo’: un non secondario compito educativo affinché quel sangue non sia sinonimo di malanno, ma di energia, pulizia, connessione con la propria sensualità e sessualità, segnale della eventuale potenzialità generativa. Insomma: period!

 

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