Un uomo ripreso da dietro, con la schiena completamente tatuata. E’ la copertina del libro fotografico “Odo Yakuza Tokyo” ma anche l’immagine ripresa sugli inviti di Officine Fotografiche in occasione dell’inaugurazione della mostra “Yakuza” nella loro sede romana (via Giuseppe Libetta, 1) per la nona edizione del festival romano Fotoleggendo. Inutile dire che è uno scatto che cattura perché dietro quella schiena e quei tatuaggi c’è una storia fatta di mafia giapponese, di bande e organizzazioni criminali, storie di onore e appartenenza.
Anton Kusters nella Yakuza ci entra per due anni. Come fotografo, infatti, accolgono il suo invito di documentare la loro “cultura”. Ne sono onorati, dirà in alcune interviste Kusters, anche se -per non diventare loro complice- gli è stato impedito di assistere e riprendere scene di crimini e violenza. La storia di questo progetto è iniziata come quella di un film e poi il ritmo e i toni non sono cambiati: Kusters ha sempre vissuto questa esperienza in punta di piedi, con timore, ma senza mai aver ripensamenti. “Una famiglia della Yakuza entra nel bar di un hotel di Niigata – ricorda del primo incontro Anton sul suo blog. Mio fratello ed io abbiamo negoziato con loro dieci mesi ed ottenuto il permesso di seguirli e fotografarli per due anni”.
Inizia così, nel 2008, l’avventura fotografica di Anton e il fratello, Malik, che degli uomini della Yakuza ricordano “le micro-espressioni del volto, i gesti, le voci e la loro intonazione, il linguaggio del corpo, l’assoluto rispetto. L’invisibile aspetto criminale”. Un aspetto che Anton ha impresso durante il loro incontro al bar “ogni cosa appare essere organizzata in maniera rigorosa ed allo stesso tempo completamente naturale: per qualche ragione non ho bisogno che mi sia detto che cosa fare, dove sedere, quando parlare o quando tacere. È come se potessi percepire i limiti e le implicite aspettative”.
Nelle sue foto immortalerà la tensione, gli umori, l’atmosfera di costante minaccia. “Con un mix di fotografia, cinema, scrittura e grafica cerco di condividere non solo il loro complesso rapporto con la società
giapponese – riporta ancora Anton nel blog – ma tento anche di mostrare la lotta personale che li costringe a vivere in due mondi diversi, con morale e valori contrastanti”. I riti della mafia giapponese come i tatuaggi, l’addestramento in un campo segreto, la veglia funebre di uno dei membri della Yakuza sono solo alcune delle scene documentate dall’obbiettivo di Kusters a cui si aggiungono altri scatti in cui vengono ritratti altri momenti di vita quotidiana come la cena al ristorante dei padroni (con tanto di “guardie” fuori dal ristorante) e la doccia in un Onsen, il bagno termale, dopo la partita a golf.
Un mondo che in pochi tra gli occidentali hanno avuto modo di documentare e che sarà in mostra, a Roma, fino all’8 novembre. “Yakuza”, curata da Diego Orlando, infatti, rientra tra le mostre proposte all’interno del festival fotografico Fotoleggendo che per questa edizione 2013, con il tema “A occhi Aperti”, indaga sul linguaggio visivo contemporaneo con una visione personale, introspettiva, autoriale. Un’edizione in cui si intersecano diversi linguaggi fotografici, con scatti che vanno dal sociale al personale, dal reportage all’installazione fotografica fino al fotogiornalismo.
Qualche altro esempio delle mostre da andare a vedere nelle diverse sedi della manifestazione? “Forgotten Memories” di Giovanni Cocco sul genocidio culturale in Kosovo; “The Visible Mountain” di Camilla De Maffeis che esplora il Trebevic, passato e presente di un territorio dimenticato; “Chiloé-La Cruz del Sur” di Brigitte Grignet che racconta la vita nell’arcipelago di Chiloé tra posti in cui mancano l’elettricità, l’acqua calda e l’assistenza medica e luoghi ricchi di miti. Ancora: “Zimbabwe: Your Wounds Will Be Named Silence” di Robin Hammond, “The Truth About The Moon” di Thomas Herbrich e “In the car with R” di Rafal Milach.
Per info su orari, mostre, sedi: http://www.fotoleggendo.it