Dopo un’ora passata in silenzio a rovistare dappertutto, la confessione: “Si può sapere cosa stai cercando?”, “Il passaporto. Mi sa che l’ho perso”. Proprio così. Dopo la Rabmobile, data in viaggio verso Panama ma senza nessuna vera certezza, ora è sparito il passaporto di Nanni. Non dovrebbe essere rubato, perché il portafogli c’è ancora; deve essere caduto dalla stessa tasca di sicurezza in cui si trovava, ed è finito chissà dove. Unità di crisi a casa di Mario, due piani sotto il nostro appartamento. E’ già lì, impegnato a chattare in svariati siti di incontri e a controllare le agenzie che hanno in affitto i suoi tre appartamenti. Alla notizia della sparizione, non si scompone. Forse si può chiederne un altro al consolato italiano, dove ha conoscenze. Bisogna andare subito lì e capire se si può evitare il rimpatrio immediato. Prima però non bisogna perdere le speranze di ritrovarlo, passando a tappeto i luoghi in cui il giorno prima eravamo stati proprio in sua compagnia.
La giornata era cominciata al porto della Boca. Prima abbiamo chiesto per l’ennesima volta notizie del fantomatico cargo dove pare sia imbarcata la Rab, e poi, entrando nel barrio vero e proprio, abbiamo raggiunto la storica Pizzeria Banchero, fondata da un immigrato genovese alla fine dell’800, che importando la pizza alta un palmo e la fugassa cipolle e formaggio ha fondato un impero. Il luogo è rimasto identico a cento anni fa (foto 1), quando vi stazionava regolarmente Benito Quinquela Martin, maestro della pittura portuale (foto 2), inventore delle facciate case popolari degli immigrati dipinte di verde di giallo e di rosso che hanno reso celebre la Boca. Qui ci eravamo sbafati una monumentale Pizza Banchero insieme a un amico romano di Mario, detto “il Professionista” per la sua capacità di abbordare le chicas non su internet, ma dal vivo (“Ognuno ha i suoi canali”), che tra un boccone e l’altro ci aveva tenuto una piccola lezione sulle argentine (“Ossi duri, infatti somigliano un po’ alle italiane, le peggiori di tutte”).
Interpellata al telefono da Mario, la Pizzeria Banchero comunica di non aver trovato alcun passaporto. La seconda telefonata è al Cafè Tortoni, altra istituzione cittadina ma ben più aristocratica, caffè liberty amato dai musicisti e dai letterati, dove Borges siede ancora al suo tavolo preferito (foto 3) in compagnia di Carlos Gardel e della leggendaria Alfonsina Storni (quasi introvabili le sue poesie in Italia; ma in compenso abbiamo le ricette di Benedetta Parodi).
Anche al Tortoni, fumata nera. Non resta che sentire l’ultima spiaggia: il Casinò galleggiante di Puerto Madero dove avevamo concluso la serata non più in compagnia di Mario, fieramente contrario a ogni sorta di gioco d’azzardo. Il centralino del Casinò però non può dare informazioni telefoniche, e invita il proprietario del passaporto a presentarsi di persona alla sicurezza.
Non ci resta che cambiare al mercato nero qualche dollaro tramite il nostro padrone di casa (qui “il dollaro parallelo” è quotato ufficialmente, giorno per giorno) e prendere un taxi che ci porti tra i grattacieli del Puerto (foto 4).
La sicurezza si materializza nel vigilante che sorveglia il metal detector dell’ingresso: Nanni è invitato ad attendere lì mentre l’agente confabula una prima, una seconda e una terza volta con il walkie-talkie. Non ha notizie certe, ma lo rincuora. Bisogna controllare la cassaforte: se il passaporto è stato smarrito, di sicuro è stato ritrovato. Al Casinò si perdono tanti soldi, ma si perdono solo quelli. Il resto, si trova. Passa più di un’ora senza che nulla accada. Quando anche Nanni è confuso con un agente della sicurezza in borghese e le speranze sono ridotte al lumicino arriva un tipo con un grosso registro nero sottobraccio. Lo apre e dentro c’è il passaporto. Una firma, la trascrizione dei dati e la restituzione è fatta, come se si trattasse di ritirare un pacco in lavanderia. E come se ritrovare le cose fosse, in fondo, molto più banale che perderle.
La morale di questa storiella che poteva interrompere il nostro viaggio dopo appena un mese e mezzo la lasciamo al maestro Benito Quinquela Martìn, con la trascrizione di queste sue parole incise alla base del monumento.
“A todo hombre que sueña le falta un tornillo. Este tornillo no los volverá cuerdos; por el contrario los preservará contra la pérdida de esa locura luminosa de la que se sienten orgullosos”
(Nostra libera traduzione: “A tutti gli uomini che sognano manca una rotella. Ritrovare questa rotella non li farà diventare intelligenti; al contrario, non ritrovarla li proteggerà dalla perdita di questa pazzia luminosa di cui si sentono orgogliosi”)
(15-continua)