Il sindaco di Firenze riparte da Bari per la campagna elettorale in vista delle primarie e frena sui provvedimenti di clemenza chiesti da Napolitano: "Prima vanno cambiate la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi. Come spieghiamo ai ragazzi la legalità se ogni 6 anni buttiamo fuori qualcuno?"
Un partito che vince perché uno che perde non serve a niente. Un partito che riscatti il fallimento di un establishment che ha fatto solo perdere tempo all’Italia per 20 anni, in discussioni continue. Un partito aperto, che “spalanchi i circoli”. Quello che Matteo Renzi sembra voler tratteggiare nella sua prima uscita in vista della corsa al congresso del Partito Democratico dell’8 dicembre è soprattutto un partito coraggioso che non si fa dettare l’agenda delle cose da fare, anche riacquisendo un po’ di autonomia rispetto ai “suggerimenti” del Quirinale. “Il governo – dichiara – lo sosteniamo se fa cose utili”. Il Pd, insomma, abbia coraggio e responsabilità delle proprie idee. Da Bari, insomma, Renzi parte per conquistare la segreteria del partito per portare avanti quella che chiama “l’idea della rivoluzione radicale che serve al Paese”. Traduzione dello slogan scelto per questa campagna elettorale congressuale: “L’Italia cambia verso”.
Renzi dice la sua su tutte le questioni di attualità: definisce “un gigantesco errore” arrivare a amnistia e indulto senza prima ripensare leggi “riempi carcere”; annuncia una sua proposta sulla legge elettorale senza attende le continue estenuanti trattative tra i partiti in Parlamento; spiega che vanno cambiare le regole del mercato del lavoro e tante che non funzionano erano proprio nel pacchetto della Fornero; indica le riforme costituzionali che servono: il Senato per la rappresentanza delle autonomie; in generale ribadisce che il governo Letta va sostenuto solo se fa cose utili; e infine cerca di scaldare il cuore dell’elettorato di sinistra assicurando che il Pd dev’essere una “sentinella del bipolarismo” (e cioè basta larghe intese nel futuro), anche se parla di “bipolarismo gentile”, dove “ci si parla e non ci si insulta”. “Il governo – precisa – non si caratterizza per quanto dura ma per le cose che fa. Se fa le cose utili noi lo sosteniamo. Non vogliamo mettere bandierine come Brunetta ma fare in modo che le cose si facciano”.
Nella platea del nuovo padiglione dei congressi della Fiera del Levante di Bari c’erano circa 2mila persone e tra queste anche facce di coloro che hanno combattuto quasi fino a ieri il sindaco di Firenze: c’è Michele Emiliano, c’è Nicola Latorre. In generale l’analisi del sindaco di Firenze sugli ultimi 20 anni è sempre lo stesso, senz’appello: “L’Italia in 20 anni non può che essere l’Italia che ha perso tempo con discussioni continue ma non ha risolto problemi, l’establishment ha fallito. Noi siamo qui per ridare speranza e per cambiare” ha detto. Giudizio che coinvolge anche lo stesso centrosinistra: dopo 20 anni di fallimenti, “ora noi siamo qui per dire che cambiare è unica soluzione. Dobbiamo restituire una speranza”, scandisce il sindaco. “Per alcuni del Pd – continua – la mia candidatura è una sorta di rassegnato abbandono, un male necessario”. Qualcuno, ha proseguito, sembra pensare che “dopo di me c’è solo il mago Otelma, poi le abbiamo provate tutte”. E allora serve un partito che vince perché uno che perde non serve a niente. “Bisogna risvegliare la speranza – ha spiegato Renzi – perché l’Italia è migliore di quello che pensiamo. Se vinciamo noi, il paese cambia verso. Al Paese serve una rivoluzione radicale, chi vuole la conservazione fa bene ad avere paura. Noi manterremo tutte le promesse, avremo la coerenza di chi si mette in gioco”.
Identità, ma merito. “Essere di sinistra – chiarisce l’ex rottamatore – non significa rinunciare al merito, il sistema non è inclusivo. Mi hanno criticato per la proposta di un contributo alle pensioni d’oro ma è un principio di giustizia in un momento di difficoltà per il paese. Per avere più stato non vuol dire avere ancora più macchina pubblica ma dobbiamo premiare le associazioni che lavorano per il bene comune”. Quanto a lui stesso il sindaco riflette: “Lo scorso anno ero quello da abbattere. Non da battere. Ora da appestato sono diventato un eroe. Non sono né l’uno né l’altro. Non era un infiltrato prima, non sono il salvatore della Patria ora”, ma se ho una virtù. E’ quella della “coerenza”.
Legge elettorale
E quindi il governo Letta deve occuparsi dei problemi veri degli italiani a partire dalla mancanza del lavoro e di una legge elettorale degna di questo nome. “Entro novembre – presenteremo la nostra proposta di legge elettorale. Questa legge, ha spiegato, è fatta di tre punti: “Quando scrutini sai chi ha vinto, chi vince governa ed è necessaria l’alternanza”. Insomma: l’ossatura è quella del sistema del “sindaco d’Italia”, con maggioranze chiare e stabili.
Amnistia e indulto
Renzi ha pronunciato parole chiare sugli eventuali provvedimenti di clemenza che il Parlamento sembra apprestarsi a discutere: affrontarli così, dice, “è un gigantesco errore”. “Come facciamo a spiegare ai ragazzi il valore della legalità, se poi ogni sei anni quando abbiamo le carceri piene buttiamo fuori qualcuno”, dice. Secondo il sindaco bisogna agire piuttosto su alcuni legge che non hanno funzionato: “Si possono cambiare la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi. Bastano i cognomi per capire perché. Ma non è per quello che li cambiamo, le cambiamo perché non hanno funzionato”.
Lavoro
Sul lavoro, invece, Renzi punta sulla semplificazione delle regole e sull’abbattimento della burocrazia “per attrarre gli investimenti”: “Cambiare le regole del gioco sul lavoro – dice – è possibile se il centrosinistra ha il coraggio di dire che l’attuale sistema di lavoro basato sulla libertà di licenziamento è stato un autogol del governo Monti perché le imprese hanno paura di assumere. La riforma Fornero è stato un clamoroso autogol”. “Il lavoro in questo momento non è fondato sull’articolo 1 – attacca – ma sulla rendita, sugli amici degli amici”. E dunque la Costituzione va difesa “non solo scendendo in piazza”, ma anche “applicandola”.
Scuola
E’ sulla scuola che punterà prima di tutto il Pd di Renzi, se diventerà segretario. “Abbiamo il voto degli insegnanti – ha affermato – ma non ci siamo mai preoccupati di essere fino in fondo al fianco degli insegnanti. Li abbiamo bombardati con la contraerei delle riforme e non li abbiamo mai coinvolti in un progetto serio”, ha sottolineato. Ora “da gennaio andremo Comune per Comune, scuola per scuola e piazza per piazza, chiameremo i 5mila assessori alla scuola del Pd e li ascolteremo” attraverso “una piattaforma telematica da una parte e il porta a porta, casa per casa dall’altro”. Questa “sarà la più grande campagna di ascolto mai tentata – ha assicurato – toglieremo ogni alibi a chi dice ‘non mi ascoltano’ e poi è stato frustrato da una gestione indecorosa”. Dunque “il Pd che faremo partirà dalla scuola, non solo come gesto simbolico o perché lì vogliamo recuperare consenso, ma per costruire il futuro”.