Dottore, non so se sono un bamboccione! Le descrivo la mia situazione: ho 31 anni, sono fidanzato da sette con una ragazza che fa l’infermiera, io lavoro in una ditta di elettricisti. Ognuno di noi guadagna 1300 euro al mese. Non pagando nulla in casa coi rispettivi genitori ci riteniamo benestanti perché spendiamo tutto per i vestiti, due belle auto, due o tre viaggi l’anno, cene e discoteche. A fine anno per cambiare l’auto o per un viaggio particolare abbiamo speso tutti i soldi guadagnati senza riuscire a mettere da parte nulla.
La mia ragazza vorrebbe andare a convivere. I rispettivi genitori ci aiuterebbero a comprare la casa. Rimarrebbe da stipulare un mutuo dell’importo di 500 euro mensili per trenta anni che corrisponde a una sorta di affitto. Dovremmo pagare il cibo e i materiali di consumo per la casa che calcoliamo in altri 600 euro mensili. Poi ci sono acqua, luce, gas, riscaldamento, tassa rifiuti, telefono fisso, adsl, tv a pagamento che abbiamo calcolato all’incirca in 300 euro mensili. Quindi partendo da 2600 euro in due meno le spese (500+600+300=1400) rimarrebbero 1200 euro. Improvvisamente mi troverei a gestire per le mie spese personali non più 1300 euro come ora, bensì 600. Forse, con fatica, ce la farei.
Se poi, come desidera la mia ragazza, avessimo un bambino, visto che costa almeno 600 euro al mese, ci potremmo dividere solo i rimanenti 600 euro per le nostre spese. A quel punto 300 euro a testa basterebbero a malapena per mantenere l’auto e il telefonino. Dovrei smettere di uscire, comprare gadget tecnologici e di fare viaggi. Mi sentirei povero! Lo so che molti dei miei coetanei sono disoccupati, che molte persone non hanno i genitori che li possono aiutare, insomma che i problemi dell’umanità sono molto più grandi dei miei. Se faccio questi calcoli e tergiverso sulla decisione prendendo tempo sono un bamboccione?
Ho trascritto, previo consenso, la domanda che mi ha posto un ragazzo. Da questa scarna descrizione emerge la difficoltà a vivere in una società consumistica in cui il valore del benessere si misura col denaro da spendere. Si intravede uno spaccato sociale che porta a relazioni sentimentali di fidanzamento lunghissime, a una dilazione nella scelta di avere un figlio e a una prolungata convivenza in famiglia. Soprattutto non c’è la fiducia nel futuro ad alimentare i desideri e i progetti bensì la paura e la sensazione di precarietà.
I lettori possono provare, senza dileggiare la reale difficoltà del ragazzo, a mettersi nei suoi panni e formulare dei consigli?