Beppe Grillo usa il mercurocromo con il suo movimento. Lo disinfetta da ogni possibile contaminazione, lo pulisce dalle abrasioni e dalle passioni della politica svuotando periodicamente (come fosse una bacinella piena d’acqua) la sua rappresentanza parlamentare di ogni senso politico. Da deputati portavoce a cittadini portaordini. Da teste dritte a capi chini. Da attuatori ed elaboratori di un programma comune ad esecutori muti del disegno d’origine. Succede sempre, ed è successo anche giovedì quando Grillo, leggendo forse i giornali, ha scoperto che i suoi senatori erano riusciti per la prima volta ad imporre a tutta la politica di interrogarsi se la questione del secolo, il flusso dei migranti dal sud al nord del mondo, potesse essere gestita solo con il codice penale e un variegato bouquet di misure di pubblica sicurezza.
Proponendo l’abrogazione del reato di immigrazione clandestina (l’emendamento approvato così statuisce) il Parlamento si sarebbe trovato nella necessità di indicare e promuovere misure alternative e sperabilmente più efficaci di quel colabrodo che oggi è la legislazione di emergenza. Grillo ha allora preso in mano il mercurocromo e disinfettato la ferita provocata dagli incapaci senatori: il tema non è nel nostro programma, non è stato discusso, dunque è fuori dal codice di comportamento dei 5Stelle. Perciò l’emendamento è nullo. La firma congiunta con Casaleggio al post ha alzato il livello di apprensione tra i parlamentari e indicato la strada, la via maestra. Cioè il dietro-front.
E’ possibile che l’iniziativa non sia stata concertata granché bene (come sempre più spesso accade dentro quel caotico catino dei cinque stelle) ed è possibile, anzi certo, che il registro comune preveda preventive consultazioni. Ma Grillo non ha giudicato il merito del problema (e avrebbe avuto buone ragioni per farlo: il reato di clandestinità non è una nostra esclusiva ma vige nella stragrande maggioranza dei paesi europei), né valutato l’efficacia dell’azione parlamentare che, per la prima volta aveva bucato il fronte governativo dividendo i due soci di maggioranza, il Pd a favore e il Pdl contro, e aprendo un dibattito politico e culturale finalmente di un qualche peso. Grillo non ha nemmeno preso in considerazione che la misura proposta fosse contenuta nel piano di riordino delle carceri illustrato per iscritto al Quirinale. Non ha aperto la discussione e il confronto. Semplicemente l’ha chiusa.
A Grillo interessava e interessa altro. L’ha confessato quando ha specificato: “Se durante le elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità, il M5S avrebbe ottenuto risultati da prefisso telefonico”. Ecco il punto: la questione si fa unicamente elettorale. I voti si contano, non si pesano. Per contarli e moltiplicarli il Movimento deve rinunciare ad alimentare un’istanza di cambiamento, eccezion fatta per quella basica e preliminare (non rubare), ma piuttosto fungere da aggregatore di proteste, a volte disparate e contrastanti. E il cittadino parlamentare non porta con sé una propria intelligenza, dei valori, un modello di vita, ma è solo il supporto tecnico di un meccanismo elettronico di selezione delle istanze.
Egli non è né di destra né di sinistra. Sta al centro (infatti in Parlamento siede nel mezzo) ma solo come punto geografico di equidistanza da ogni passione, connessione sentimentale con chi l’ha eletto. Egli non sta sopra ma sotto, non progetta ma esegue. Cosa esegue? L’abecedario della rete, anzi di quella piccola parte, un’oligarchia, che influenza e decide, vota e approva o fa decadere. Non tutti gli elettori ma soltanto coloro che hanno guadagnato con la militanza il bollino blu della fedeltà, quelli con l’asterisco, portatori esclusivi della capacità di validazione o di sconfessione.
Se questo è lo schema, nell’attesa grillina che tutto salti per aria non è necessario promuovere istanze di cambiamento perché non esiste un fronte da combattere. E’ tutto da far saltare in aria. Poi ci sarà la palingenesi. Come? Vattelapesca! Non è indispensabile indicare le vie del buon governo perché l’altrove è una indistinta e comune pratica di malgoverno. Bisogna dunque attendere che tutto scoppi e magari assistervi con l’inerzia. E perciò nel Parlamento non servono menti ma braccia disciplinate che producano il minimo, senza far casini. E il Porcellum è perfetto a selezionare la truppa fedele. Il leader sceglie chi tenere in vita e chi far perire. Chi aiutare a tornare a Roma e chi rispedire al mittente. Anche questa, forse, è la ragione perché questa legge elettorale, a ben riflettere, non fa poi così schifo. Meglio tenersela ancora un po’, vero Grillo?
Il Fatto Quotidiano, 11 ottobre 2013