Ha chiesto una carrozza, per essere portato in trionfo al Campidoglio. “Missione compiuta”, ha assicurato. Per l’avvocato monopolista della monnezza romana, Manlio Cerroni, la chiusura di Malagrotta è una sorta di trionfo. Toni da grande occasione hanno usato anche il sindaco di Roma Ignazio Marino e il governatore del Lazio Nicola Zingaretti. L’evento, d’altra parte, era atteso e annunciato da diversi anni: i cancelli chiusi nella più grande discarica d’Europa potevano rappresentare il momento di svolta nella gestione dei rifiuti nella capitale. Le cose, però, sono ben differenti. I sacchetti dell’immondizia di Roma – seppur trattati – continuano in buona parte a finire nelle buche della collina artificiale nata negli anni ’70, mentre tutti sono ancora alla ricerca della soluzione alternativa.

A metterlo nero su bianco è lo stesso Manlio Cerroni, in due lettere spedite il 30 settembre e il primo ottobre. “Da domani 1° ottobre 2013, la FOS prodotta dagli impianti TMB 1 e TMB 2 sarà impiegata (sino ad esaurimento delle volumetrie necessarie) per raggiungere la morfologia necessaria a far partire le operazioni di capping definitivo”, spiega una nota inviata il giorno prima della chiusura. Che cosa si nasconde dietro il linguaggio tecnico? La FOS è la sigla della “frazione umida stabilizzata”, ovvero la parte più inquinante della monnezza di casa. E’ lo scarto della separazione meccanica dei rifiuti, dove il secco finisce nel combustibile Cdr inviato negli inceneritori, mentre il restante umido viene avviato ad un processo di “stabilizzazione”. Un processo che dovrebbe – se tutto funziona per il meglio – ridurre il cattivo odore e la produzione di percolato. La FOS, una volta prodotta e stabilizzata, è inviata nelle discariche, dove può entrare solo se correttamente trattata.

Prima della data della teorica “chiusura” di Malagrotta la discarica romana riceveva esattamente lo stesso materiale. In più i cancelli erano aperti anche per lo scarto prodotto dai Tmb (gli impianti di trattamento) dell’Ama. La municipalizzata romana ha però deciso di mandare la sua parte negli impianti Hera in Emilia Romagna, che si sono aggiudicati la gara d’appalto lo scorso mese. In sostanza la chiusura di Malagrotta ha riguardato solo la frazione umida prodotta dal gestore pubblico romano, ma non quella che esce degli impianti di Cerroni. L’avvocato romano non si è però perso d’animo. Il primo ottobre ha inviato un fax urgente al commissario Goffredo Sottile offrendosi per accogliere anche la Fos prodotta da Ama: “Si potrebbe anche usare quella proveniente dagli impianti Ama e Rocca Cencia e ciò, appunto, per modo che a fine anno il discorso sia chiuso con beneficio ambientale ed economico per tutta la collettività”. E’ una questione di costi, spiega il padrone della discarica: “La voce di costo finora sopportata da Ama s.p.a. a Malagrotta è di euro 22 a tonnellata mentre altrove il costo è di euro 115 (recente gara), con uno scarto di circa 90 euro e più a tonnellata”. Non venite da me? Vi tocca pagare di più.

Secondo Cerroni l’utilizzo dello scarto del trattamento dei rifiuti per preparare la reale chiusura di Malagrotta è legale: “Tale materiale, oltre a essere legalmente preferito nelle operazioni di recupero ambientale (quale deve essere oggi qualificata l’attività di riempimento in questione all’interno di una discarica che ha cessato le attività di ricezione dei rifiuti), è ampiamente disponibile in loco”. L’alternativa avrebbe per il suo gruppo un costo più elevato: movimentare tonnellate di terra per coprire gli avvallamenti della discarica, spedendo nel contempo la Fos in altri invasi, come sta facendo l’Ama, peserebbe sulle casse – peraltro ricche – del gestore di Malagrotta.

Intanto continua a rimanere spento l’impianto di gassificazione dei rifiuti costruito negli anni passati all’interno della discarica romana, gestito – fino alla fine del 2011, quando venne fermato dalla stessa società di Cerroni – dal gruppo svizzero Seven Hills. L’inceneritore, costato diverse centinaia di milioni di euro, è basato su una tecnologia che ha avuto poca fortuna in Europa, come ha ricostruito il Fatto quotidiano nei mesi scorsi. Un impianto simile fu chiuso definitivamente in Germania nel 2005, mentre un prototipo di gassificatore provocò un danno ambientale notevole a Verbania all’inizio degli anni ’90. Almeno sulla carta esiste un progetto approvato dalla regione Lazio per realizzare un secondo impianto di questo genere ad Albano Laziale, a sud della capitale.

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