Non solo è una sfida capire quante sono nella loro totalità le imposte da pagare, ma anche gli stessi adempimenti tributari ci costano caro. La consulenza fiscale in Italia è la più costosa di altri paesi europei. Niente sfugge al fisco, mentre si moltiplicano le imposizioni più assurde
L’ impresa eccezionale per un contribuente è sapere quante sono le tasse da pagare. Un elenco ufficiale non esiste. Il ministero dell’Economia e Finanze, alla richiesta via mail, non ha saputo rispondere: “Quante? Bella domanda”. Qualche tempo fa l’ex ministro Giulio Tremonti, all’inizio della sua inconcludente carriera legislativa, di tasse complessive ne ha contate 107. Le associazioni dei consumatori e delle imprese parlano genericamente di cento, ma non ci sono certezze. Intanto, le tasse sono tutte lì: tante, complicate, introvabili.
La seconda impresa è riuscire a pagarle. Nel dossier sui Balzelli d’Italia, la Confesercenti, non ha solo pubblicato Il Bestiario delle 100 tasse che fanno tribolare imprese e famiglie ma ha fornito un dato poco noto. Pagare le tasse, riuscire cioè a mettersi in regola con il fisco, ha un costo considerevole: gli adempimenti tributari ammontano a circa 18 miliardi di euro l’anno. Chi esercita un’attività in Italia paga 4. 495 euro contro i 1. 320 dei francesi, i 1. 290 dei britannici, i 1. 210 dei tedeschi. Soldi che finiscono nelle tasche della consulenza fiscale, pervasiva e avvolgente.
L’impresa di sopravvivere
La terza impresa è sopravvivere. Per essere travolti da balzelli, gabelle, imposizioni improbabili o vere e proprie truffe, basta stare fermi. Al di là dell’Irpef, l’Irpeg, l’Irap o l’Iva esistono le tasse “assurde”, conosciute solo quando ci si inciampa sopra. Come la tassa sull’ombra che scatta quando la tenda di un locale invade il suolo pubblico. Oppure la tassa sugli spettacoli nei pubblici esercizi, la tassa sulle concessioni. La tassa per iniziare lavori edilizi, la tassa sulle cambiali. A i privati si applica la tassa sui gradini, dovuta quando le case hanno l’accesso dalla pubblica via. I lavoratori dipendenti, poi, subiscono una tassa occulta, il Fiscal drag: l’imposizione aumenta all’aumento dello stipendio senza considerare il contestuale aumento dell’inflazione.
Le tasse si pagano non appena si mette il piede fuori di casa. Letteralmente. Esiste, infatti, la tassa sui passi carrai, i varchi aperti sui marciapiedi per uscire dalle abitazioni. Si determina moltiplicando la larghezza del passo per un metro lineare convenzionale. Per uscire in auto, però, bisogna avere la patente per il cui rilascio occorrono ben cinque versamenti postali e un certificato, naturalmente in bollo. Non basta. C’è anche la tassa di iscrizione al Pubblico registro automobilistico (il Pra), importo che le province possono aumentare fino al 30 % (solo Bolzano, Aosta, Trento e Prato non lo hanno fatto). C’è il bollo dell’auto, il costo della targa, i diritti del Dipartimento Trasporti terrestri e, se si sceglie di comprare un’auto usata, il passaggio di proprietà. Con uno scooter cambia poco. Meglio andare a piedi o in bicicletta. Anche perché al primo distributore di benzina potremmo imbatterci nelle micidiali accise.
La benzina dell’Abissinia
L’ultima rilevazione del ministero dello Sviluppo economico, della scorsa settimana, segnala che il prezzo medio della benzina è di 1, 754 euro; l’accisa interviene per 0, 728 centesimi e l’Iva per i restanti 0, 304. Senza le imposte la benzina costerebbe 721 centesimi al litro. Il 41 % se ne va in accisa, cioè l’imposta che si è accumulata nel tempo sommando spese straordinarie sostenute dai vari governi. Fu la guerra in Abissinia di Mussolini a far aumentare di colpo il prezzo della benzina nel 1935, poi sono venute la crisi di Suez, il disastro del Vajont, l’alluvione di Firenze, il Belice e tutti gli altri terremoti fino a quelle emiliano. Ma nella voce vengono conteggiati anche il contratto degli autoferrotranvieri, le missioni all’estero o l’emergenza immigrati. L’intera storia italiana passa dalla pompa al nostro serbatoio e si fa pagare cara.
Lasciamo stare, quindi, la benzina. Torniamo a casa e portiamo a spasso il cane. Putroppo il governo Monti, nel 2012, ha provato a istituire un’imposizione anche sul possesso di animali ma ha dovuto fare marcia indietro cause proteste. La legge, però, prevede la facoltà di imposizione per i comuni i quali ora, in tempi di magra, stanno pensando seriamente di introdurre l’imposta. Meglio lasciare il cane a casa e andare in banca a occuparci dei nostri risparmi. Magari per aprire un conto corrente “a costo zero”, finalmente qualcosa di gratis. Ci si mette poco, però, a scoprire che al “costo zero” occorre aggiungere l’imposta minima di 34, 2 euro più lo 0, 15 % delle somme depositate se si apre un conto deposito (su cui sono conservati i titoli). Se poi acquistiamo o vendiamo titoli azionari, scatta la la Tobin tax con lo 0, 12 % di imposizione.
Via anche dalla banca. Andiamo alla posta, ci sono le bollette. che attendono. Siamo stati molto attenti con i consumi, abbiamo utilizzato al minimo le forniture. Ma nella tariffa del gas le tasse incidono per il 43 % mentre per l’energia elettrica le imposte pesano per il 13, 29 %. La bolletta Enel, però, comprende anche i “servizi di rete” che incidono per il 33, 44 % e comprendono i i costi per gli incentivi alle fonti rinnovabili, la promozione dell’efficienza energetica, gli oneri per la messa in sicurezza del nucleare, i regimi tariffari speciali per le Fs, le compensazioni per le imprese elettriche minori, il sostegno alla ricerca di sistema. Un diluvio di tasse nascosto in bolletta. Su cui, dulcis in fundo, si paga anche l’Iva. La tassa sulla tassa. Il giochetto viene ripetuto per le tassazioni locali, ad esempio la Tares, che vengono rubricate come “tariffe” in modo da aggirare il divieto.
Casa cara casa
Via anche dalla posta. Dove andare? A cercar funghi si deve pagare il bollettino postale. A casa c’è il canone Rai anche se la Rai non la si guarda mai. E poi sulla l’accanimento sfiora il sadismo. Prima dell’Imu, infatti, abbiamo già pagato la tassa per l’acquisto (3 % se è un’abitazione principale), l ’ imposta ipotecaria e quella catastale. Oltre al costo del notaio. Se l’avessimo presa in affitto avremmo pagato l’imposta di registro mentre la proprietà concorre a formare il reddito complessivo. Sulla casa, infine, si paga la Tares, la tassa sui rifiuti che si calcola sui metri quadri.
Tasse ovunque, tasse di ogni tipo. Per seppellire i defunti e accendere i lumini. Per fare un biglietto aereo o sbarcare in un porto. Anche per soggiornare in Italia. La tassa per i comuni con centrali nucleare anche se il nucleare non c’è più. Le tasse sul fumo, sulla sigaretta elettronica e sugli alcolici. Non si può nemmeno provare a impietosire le autorità perché si pagherebbe la tassa sulle suppliche, quella per “istanze, petizioni, ricorsi diretti agli uffici dell’amministrazione dello Stato tendenti ad ottenere l’emanazione di un provvedimento”. Tra le imposizioni improvvise va compresa anche la giustizia: per un ricorso ai tribunali si paga in base al valore dei processi, da 33 a 1.200 euro. Esiste l’imposta sulla birra e quella sui giochi; le concessioni governative e la tassa per studiare; i diritti alle Camere di commercio e la tassa sulle affissioni, l’imposta sugli spiriti e quella sugli zuccheri. Non si può nemmeno inventare un sistema alternativo: esiste, infatti, anche la tassa “sulle invenzioni” per brevettare nuove scoperte. Oltre ai diritti di brevetto ci sono quelli di segreteria e l’immancabile marca da bollo. Anche il desiderio di cambiare le cose è sottoposto al balzello.
Da Il Fatto Quotidiano del 30 settembre 2013