“Siamo ancora senza casa”. Sono arrivati in 200 da tutta l’area del cratere per partecipare “alla manifestazione dei terremotati” e chiedere alle istituzioni di “non dimenticare” chi, nel maggio del 2012, in pochi secondi, ha perso tutto. Chi, 17 mesi dopo il sisma, è ancora sfollato, chi non ha lavoro, chi vive nei moduli abitativi prefabbricati sorti come isole alle periferie della città e non sa come pagare la spesa per mantenere la propria famiglia. Perché “è passato più di un anno dal terremoto, ma i problemi sono sempre gli stessi – racconta Sandro Romagnoli di Sisma.12, il comitato organizzatore della manifestazione – e allora siamo tornati in strada a protestare”. Il luogo scelto è simbolico: un crocevia, una rotonda chiamata Cappelletta del Duca che collega Cavezzo, Mirandola e Medolla. Cuore pulsante di quel “gioiello produttivo”, la Bassa emiliana, che oggi è noto come il “cratere“, a pochi chilometri dai comuni divenuti emblema di ciò che le scosse hanno lasciato dietro di sé: macerie e un’intera terra da ricostruire. Lì il corteo, formato solo da cittadini, senza sindaci né istituzioni, si è radunato alle 10 del mattino, per poi bloccare il traffico invitando gli automobilisti a scendere dalle auto e a partecipare alla manifestazione. E lì ha sfilato solenne per tutta la mattina, camminando attorno alla rotonda in una lenta processione di striscioni e manifesti.
“Manifestiamo perché è l’unico modo che abbiamo per essere ascoltati – raccontano Manuela, tra le mani un cartello che recita “100%, ma de che?” – Al di fuori del cratere tutti pensano che l’emergenza sia rientrata, che vada tutto bene, ma è solo l’immagine pubblica che le istituzioni vogliono comunicare per dimostrare efficienza. In realtà, però, la ricostruzione qui non è mai partita”. La casa di Manuela è inagibile, tuttavia non solo i lavori per rimetterla in sesto non sono iniziati, ma non è ancora stata demolita. Il perché è semplice: “I progetti vengono continuamente respinti. Noi ci affidiamo a un tecnico che presenta il piano al Comune, ma molto spesso questo viene rispedito al mittente pieno di correzioni: di modifiche, cioè, che non sono rimborsabili”. E tutto ciò che non è considerato ‘rimborsabile’, è a spese del cittadino. “Noi non chiediamo i rubinetti d’oro, rivogliamo solo le nostre case – continua Manuela – ma così è impossibile. L’impressione è che il 100% che ci è stato promesso sia solo sulla carta, o che sia il 100 per cento di ciò che la Regione decide di rimborsare al cittadino”.
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Tra i punti per i quali i terremotati protestano ci sono soprattutto gli ostacoli e la lentezza della burocrazia
Anche Francesca, residente a Mirandola, in prima fila davanti allo striscione “Errani ridacci la casa”, non è ancora riuscita a rientrare nella propria abitazione, tuttora inagibile, e oggi è in affitto. “105 giorni fa, a giugno, ho presentato il progetto al Comune: non mi hanno ancora risposto”. “Qui ricostruiscono le rotonde, ma certo non le case – conferma Giuseppe Codamo, proprietario di un’abitazione classificata in “C”, quindi gravemente danneggiata – quello che domandiamo è: dove sono le istituzioni? Non si aspettino che resisteremo in queste condizioni ancora a lungo”.
Perché se “i cantieri sono fermi”, al contempo, per chi è costretto a vivere fuori casa, arrivare alla fine del mese è sempre più difficile. Le soluzioni pensate dalla struttura commissariale guidata dal presidente della Regione Emilia Romagna Vasco Errani, per chi si è ritrovato, in seguito al sisma, con la casa inagibile, erano due: il contributo di autonoma sistemazione o l’alloggio nei moduli abitativi prefabbricati. “Ma in entrambi i casi tirare avanti è un’impresa”, spiegano gli sfollati. Tra disoccupazione e piccola – media impresa in crisi, raccontano, “il Cas non basta a pagare l’affitto e a mangiare”, e vivere nei “Map”, acquistasti pensando a “una permanenza breve degli sfollati”, “il commissario Vasco Errani – spiega Massimo, residente nel quartierino Map di Alberone – ci aveva promesso che saremmo rientrati nelle nostre case entro 12 mesi”, presenta più di qualche svantaggio. Il primo sono i costi: “ancora non sappiamo come affronteremo questo secondo inverno – continua Massimo – intanto, per il periodo gennaio/maggio, ci sono arrivate delle bollette da due o tremila euro a famiglia che non abbiamo idea di come pagare”. Tanto che nel quartiere temporaneo fuori dal Comune di Cento si pensa di “rimettere le bollette all’amministrazione”. “La scelta di comprare quella tipologia di Map è stata evidentemente un errore – sottolineano i residenti – hanno voluto risparmiare pensando che l’emergenza abitativa sarebbe rientrata presto e così non è stato. Ora devono assumersene la responsabilità”.
“Noi siamo disposti a dialogare, a confrontarci, ma chi ha commesso degli errori deve ammetterlo e cambiare strada – conclude Romagnoli – Basta dire che la ricostruzione procede, che le domande aumentano e le aziende riaprono: a fronte di 13 miliardi di danni provocati dal terremoto sono stati approvati 6 miliardi di rimborsi, tramite la Cassa depositi e prestiti e di questi, ne sono stati stanziati solo 200 milioni. Un trentesimo, cioè nulla. Così non va, o si snellisce il sistema, o il tessuto economico e sociale si impoverirà. Questa era una terra in grado di produrre il 2% del Pil nazionale, ma se andiamo avanti così non solo il tessuto economico non ripartirà, ma arriveremo alla desertificazione”.